«La Fiom adesso sciopera per cacciare la Fiat dall’Italia»
«Il piano c’è Ora risposte su Melfi e Cassino»
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Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, come giudica lo sciopero del 21 ottobre proclamato dalla Fiom-Cgil contro la Fiat?
«Sbagliato, una scelta tutta politica che non c’entra nulla con il merito. Per capirlo basta leggere le motivazioni».
Perchè?
«Si parla di riconquista del contratto. Ma cosa ha a che vedere con la difesa degli stabilimenti Fiat? Peraltro, non hanno nemmeno firmato l’accordo del 2009, quale contratto vogliono riconquistare?».
Pensano ad altro?
«È chiaramente uno sciopero politico, stanno accelerando sulla conflittualità perch´ scommettono sulla crisi di governo e sulle elezioni, si stanno preparando a quelle. Portano i lavoratori in piazza per accelerare la crisi, vogliono inserirsi nel solco delle proteste più generali contro il governo. Poi c’è una motivazione paradossale».
Quale?
«Scioperano contro l’uscita della Fiat da Confindustria. Premesso che nessuno la ritiene una scelta giusta, mi chiedo come fa un sindacato a pretendere da un’azienda l’iscrizione a un’associazione. È paradossale».
Paradossale che la Fiom faccia da guardiano alle iscrizioni a Confindustria?
«Per loro tutto fa brodo, io però mi riferisco anche al fatto che uno dei motivi per cui Fiat ha lasciato Confindustria è proprio la strategia giudiziaria dei dirigenti Fiom. Per invalidare gli accordi hanno fatto ricorso alla magistratura, i giudici hanno applicato la legge e hanno sancito la validità delle intese. Quindi Fiat ha capito che può far valere le sue ragioni in tribunale anche senza la mediazione di Confindustria».
Un boomerang.
«Certo, chi si inalbera non si rende conto che la situazione attuale è il risultato di scelte perdenti, che si ritorcono, in primo luogo, contro i lavoratori. Ma, ripeto, per loro adesso tutto fa brodo e contano le elezioni».
Nel senso che appoggeranno un partito, ad esempio Sel o Italia dei valori?
«Nel senso che la Fiom stessa si muove come un partito, aggrega tutta quell’area. Più facile che quei due partiti diventino lo strumento del sindacato, piuttosto che il contrario».
Tutto questo mina i rapporti tra le tute blu della Cgil, la Uilm e la Fim? Con l’articolo 8 non vi eravate riavvicinati?
«Ci hanno chiesto di aprire una discussione sull’accordo del 28 giugno, che loro non hanno voluto, e sulla democrazia sindacale. Poi hanno indetto lo sciopero unilaterale. Il fatto è che per loro lo sciopero ormai è una routine. Serve a dare visibilità alla loro organizzazione, ma noi abbiamo altri problemi».
In generale o con la Fiat?
«In primo la Fiat, siamo alle prese con la cassa integrazione e la crisi. Non c’è bisogno di uno sciopero da parte di chi si è sfilato dal tavolo, perch´ la priorità è difendere i posti di lavoro e i salari. È sempre presente il rischio di scelte che indeboliscono i lavoratori e, in più in generale, le realtà industriali più importanti del Paese, favorendo la concorrenza».
Se Sergio Marchionne andrà all’estero, di posti di lavoro se ne salveranno pochi.
«Io non credo all’Italia senza auto. E comunque non sono tra quelli che, di fatto, premono perch´ Fiat vada fuori e fanno di tutto per cogliere segnali in questo senso. Anche perch´ questi segnali non emergono, almeno non dalle trattative per gli stabilimenti. Fossi in loro, farei un’analisi per capire a che cosa ha portato la strategia Fiom. Senza di noi, a Pomigliano e a Mirafiori, i lavoratori sarebbero rimasti per strada».
La Fiom e la Cgil dicono che non ci sono veri investimenti. Sbagliano?
«Ho sentito Susanna Camusso dire che non c’è il piano industriale, ma anche lei sa che si dovrà concretizzare entro il 2014. I primi risultati della trattativa ci sono. Esistono gli investimenti per Pomigliano, per Mirafiori, per Grugliasco, per la Fma di Avellino. Attendiamo a breve risposte per Melfi e Cassino. Non se n’è accorto solo chi non vuole sentire. Con questo non voglio negare che il confronto con la Fiat non sia duro. Ma la durezza è commisurata alla gravità del momento».