Precari? La cronaca del convegno Uilm a Bergamo su “notizie UILM” novembre-dicembre di Bergamo


                    

Precari?
La cronaca del convegno Uilm a Bergamo

di Antonello Di Mario*

Precari? Gli studenti che sono stati presenti al convegno non sono ancora nel mondo del lavoro, ma percepiscono una certa precarietà nella loro sfera privata ed in quella pubblica. Il primo spazio è rappresentato dal mondo familiare che li protegge, il secondo da quello della scuola che prova a formarli. Il futuro? “Vedremo”, rispondono disillusi e pronti ad “andare in piazza” E’ la fotografia della tavola rotonda organizzata dai metalmeccanici della Uil dove relatori come  Tito Boeri (docente universitario), Enzo Mattina (vicepresidente del gruppo Quanta), Stefano Malandrini (rapporti sindacali Confindustria di Bergamo), Angelo Nozza e Rocco Palombella (rispettivamente
segretario locale e “leader” nazionale dei metalmeccanici Uil) hanno ascoltato incuriositi i giovani presenti nell’aula magna dell’istituto “Giulio Natta” nella città orobica. Solo dopo sono riusciti a dire la loro in un dibattito moderato da chi scrive. Il giornale locale, l’Eco di Bergamo, nell’articolo che riportava la cronaca dell’evento, ha provato a sintetizzare gli stimoli del confronto “organizzato dalla Uilm Uil di Bergamo con gli studenti degli istituti Natta e Paleocapa”, tante buone idee e considerazioni  su come “Integrarsi, formare gruppi di
pressione con Internet, prendersi le proprie responsabilità: solo così i giovani possono farsi sentire in tema di occupazione e inserimento lavorativo da una classe politica e da una società che tende a svantaggiare le nuove generazioni”. Una sintesi stringata e corretta, ma questo è ciò che “si è visto a valle” della discussione. Per capire cosa muove questa generazione studentesca è bene “salire a monte”, cioè dalle testimonianze di tre ragazzi prossimi all’esame di stato, la maturità degli anni trascorsi. Il loro dirigente scolastico, Michele Nicastri, aveva benedetto l’evento come “un’opportunità significativa per riflettere su scenari ed aspettative, per
capire come attrezzarsi”. E i tre studenti del quinto anno di corso con disarmante sincerità hanno raccontato incertezze, dubbi, contraddizioni del tempo che vivono in famiglia e a scuola. “Arrivi in quinta- dice Emanuele Mologni del “Natta”- facendo pochi laboratori
e quindi hai poca esperienza. Se uscivo dalla scuola al terzo anno avrei potuto fare il muratore e magari oggi avrei già potuto riscuoter una buona paga. Ma in famiglia vogliono che frequenti l’università, quasi una scelta obbligata anche se voglia non ne hai”. Il ragazzo usa la terza persona nel descrivere la predisposizione al possibile impegno universitario, ma si rianima un po’ quando descrive delle manifestazioni studentesche a cui ha partecipato. “La politica non risponde -ammette sconsolato- e la piazza viene vista come un male, una cosa che non va. Non so…”. Gli fa eco Mattia Rossi, che frequenta l’altro istituto tecnico, il “Paleocapa” quello per meccanici: “Davanti abbiamo l’università- afferma serioso- ma la viviamo quasi come una costrizione. Sentiamo l’esigenza di far pesare la nostra condizione”. Francesco Chiesa, futuro perito chimico del “Natta”, invece restituisce alla platea uno spaccato dei dialoghi in famiglia: “Quando torno da scuola- dice- a casa ogni tanto parliamo di lavoro e pensiamo al dopo, che magari la crisi passa, perché l’economia deve ‘girare’. La scuola non mi dà conoscenze sufficienti, ma io voglio impostare il futuro con le cose che desidero, voglio fare quello che mi piace. Mio padre, quando parlo così mi interrompe e mi avverte che non è in questo modo che avviene, che a volte bisogna accettare un lavoro qualsiasi esso sia. Mi porta l’esempio di un pacifista che pur di lavorare e mantenere la famiglia deve accettare un’occupazione anche in Beretta (fabbrica d’armi, ndr). Sento che noi giovani abbiamo bisogno di fatti e al momento una manifestazione in piazza è per noi un fatto concreto”. Le dichiarazioni di Emanuele, Mattia e Francesco avvengono alla vigilia dell’
ultimo fine settimana di ottobre ed in concomitanza con la diffusione in Italia dei dati Istat ed Eurostat sull’occupazione, che comprendono anche quelli relativi alle fasce giovanili. Seguono a distanza di pochi giorni quelli già diffusi dalla Banca d’Italia. Esiste qualche differenza tra le due fonti sulla corretta misurazione del numero dei senza lavoro in Italia: disoccupazione all’
11% per Bankitalia, all’8,3% per l’Istituto nazionale di statistica. Il primo dato risulta superiore al secondo, perché tiene conto di coloro che sono in Cassa integrazione e degli “scoraggiati” nel cercare lavoro. Come dice il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, rispetto alla stima dell’istituto guidato da Mario Draghi, si tratta di una rilevazione “originale in Europa, più vicina alla metodologia usata negli Stati Uniti”.  Allora, secondo i dati ora in nostro possesso, a settembre in Europa la disoccupazione è arrivata al 10,1% nei sedici paesi dell’area euro e al 9,6% nei 27 Paesi dell’Unione europea. In Italia il tasso di disoccupazione è invece dell’8,3%. La disoccupazione giovanile è arrivata in Italia al 26,4%, ben sei punti in più rispetto alla media europea. In Italia il tasso di inattività, calcolato sul totale della popolazione attiva, è al 37,9%, corrispondente cioè a circa 15 milioni di persone, inclusi studenti, casalinghe e “scoraggiati”.
Nel Paese  attualmente lavorano meno di due italiani su tre di quelli tra i 15 e i 64 anni di età, compresi coloro che svolgono attività a tempo parziale (sono più di 2,5 milioni) e a carattere temporaneo (oltre 1,2 milioni). Quindi, su 60 milioni di abitanti, circa 8 e mezzo sono quelli sotto i 15 anni e 12 quelli sopra i 65. Se si aggiungono gli oltre 14,7 milioni di inattivi e gli oltre 2 milioni di disoccupati iscritti alle liste di collocamento e effettivamente in cerca di un impiego, si arriva a 37 milioni di persone che vivono grazie al lavoro di 23 milioni, divisi tra 17 milioni di dipendenti, e 6 di autonomi. Ciò significa che solo il 38% dei cittadini si fa carico attualmente di produrre la ricchezza per tutti gli altri. Queste cifre, comunque, non tengono conto del lavoro nero che conta almeno un terzo dell’ economia emersa. Ecco, facendo i debiti scongiuri per ognuno dei tre, ma Emanuele, Mattia e Francesco rispetto a questa progressione di dati e percentuali rischiano di essere tra quelli che porebbero ingrossare le fila dell’esercito dei nuovi disoccupati. Infatti, ad uno di ogni quattro di quelli tra i 15 e i 24  anni che cerca lavoro non trovandolo, si aggiungono i ragazzi, con caratteristiche analoghe al trio succitato, che frequentano scuola e università come modalità di parcheggio. “La Uilm- come ha detto Rocco Palombella, il segretario generale dell’ organizzazione- non ha voluto tenere la manifestazione di Bergamo per un interesse diretto. L’obiettivo è costituito dalla necessità di smentire ogni tipo di strumentalizzazione e creare coinvolgimento. Oggi abbiamo realizzato una fase di ascolto di alto livello. Quando questa crisi sarà finita almeno i due terzi di quanti sono rimasti agganciati al loro posto di lavoro grazie agli
ammortizzatori sociali potranno probabilmente tornare alle loro abituali occupazioni, ma tanti giovani preparati e caratterizzati da un lavoro intermittente avranno maggiori difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro, nonostante le tante specializzazioni ed esperienze acquisite a livello universitario. E’ questa la contraddizione che vive il mondo del lavoro: fatichiamo, pur riuscendoci, a trovare le risorse per confermare la cassa integrazione nel 2011, ma non ci sono i soldi per finanziare uno statuto dei lavori che tuteli i flessibili”. Il “leader” della Uilm ha esorcizzato il ruolo della famiglia italiana: “Deve essere il luogo- ha detto il sindacalista- da cui si parte per ‘la conquista del mondo’, e non dove ci si rifugia rifiutando la realtà che ruota intorno. I genitori possono aiutare e sostenere i loro
figli, ma non sostituirsi a loro nelle scelte di vita. I valori, la formazione, l’istruzione e la tenacia sono i bagagli con cui muoversi, ma bisogna farlo. Nei paesi stranieri i giovani escono da casa presto ed affrontano da subito il confronto con gli altri, compresi i problemi relativi al lavoro. Proprio il lavoro è uno dei valori che può permettere l’integrazione delle giovani generazioni, ma non bisogna scoraggiarsi ed occorre insistere: il lavoro va voluto, ricercato e difeso, ma soprattutto occorre rispondere ad una vocazione precisa che è la molla per l’emancipazione dell’individuo”. Tito Boeri, docente dell’Università Bocconi di Milano ed editorialista del quotidiano “la Repubblica” ha, anche lui, molto insistito sul ruolo del nucleo parentale: “Le famiglie italiane –ha ribadito- vogliono risolvere i problemi
dei loro figli direttamente, in modo autonomo e nella loro sfera privata. E’ la loro prima preoccupazione, ma così non può funzionare. Sono ridicole quelle intese sul ridimensionamento degli organici come avvenuto in Unicredit dove il dipendente padre  lascia il lavoro ad uno dei figli. Così non si va in Europa. La crisi finora ha distrutto un milione di posti di lavoro nel nostro Paese ed il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è tre volte superiore a quello medio dei paesi Ocse. Non ci sono alternative. Occorre cambiare le regole della sfera pubblica, cambiare le norme d’ingresso nel mercato del lavoro: non è più accettabile un contratto di lavoro con una scadenza predefinita; è indispensabile cambiare le regole d’ingresso nel mondo professionale, conciliando la flessibilità, ma non avendo una durata limitata del contratto in questione”. Boeri, in questo modo, ha sostenuto l’efficacia di una sua proposta
avanzata con un altro economista, Pietro Garibaldi, in più sedi (tra cui la sua rivista, “la voce.info”) ed in un suo recente libro “Un  nuovo contratto per tutti”, cioè contratto unico senza scadenza per tutti i lavoratori e con tutele gradualmente crescenti. “Occorre- ha insistito l’economista- anche un salario minimo e riformare gli ammortizzatori sociali. Sarà così possibile rilanciare il lavoro e aiutare i giovani, le donne e i disoccupati di tutte le età, smettendo di sostenere solo chi è dentro il mercato. A costo zero per il contribuente”. Per questo, polemicamente, ha detto di continuare a credere nello statuto dei lavoratori, ma di non puntare all’attuazione di quello dei lavori che “regolerebbe una miriade di nuove forme contrattuali senza risolvere il problema effettivo dell’occupazione destinata  perdersi, o a rimanere precaria. Così come è il mercato del lavoro è una coperta troppo corta che garantisce chi è dentro ma non tutela efficacemente gli outsiders”. Infine, il docente della Bocconi, che proprio il giorno in cui parlava aveva pubblicato sulla Repubblica “un fondo” intitolato “La Fiat alla brasiliana” (in cui premeva sul principio della competitività per uscire dalla crisi) ha invitato i giovani presenti “a prendersi il mano il futuro, perché oggi è il momento in cui le cose vanno cambiate; perché occorre scegliere facoltà universitarie utili per uno sbocco universitario; perché i giovani devono abituarsi ad andare all’estero approfittando anche delle possibilità offerte nel corso del ciclo di studi accademici”. “Fisiologico” il confronto con i paesi della Ue: “Nei momenti di crisi, come questo- ha ironizzato Boeri- tutti i Paesi nostri concorrenti in Europa- hanno investito nella ricerca, studio e sapere, ma in Italia, invece, si sono fatti pesanti tagli a scuola e formazione. La nostra è una Repubblica dove non si capisce perché finora non si è riusciti a realizzare un’anagrafe dell’edilizia scolastica”. Anche Enzo Mattina, autore di “Elogio della precarietà”, il libro edito da Rubbettino su cui si è basata parte della discussione, ha insistito sul valore dell’istruzione: “Svolgete studi universitari- ha esortato gli studenti del
Natta e del Paleocapa- coerenti con quello che state facendo e contemporaneamente pensate e provate anche a lavorare. Le microesperienze del lavoro intermittente possono costituire anche un modo per focalizzare cosa si vuol fare da grandi. L’imperativo categorico è comunque dire sempre di no al lavoro nero”. L’ex sindacalista e parlamentare socialista, in predicato ora di divenire anche il presidente del Fondo pensioni per i lavoratori somministrato, istituito dal Ministero del Lavoro, dopo aver fatto cenno alle leggi che hanno riordinato il lavoro flessibile come la “Treu” e la “Biagi”, ha riferito sul valore della copertura previdenziale per le forme relative a queste tipologie contrattuali (dalle collaborazioni a progetto al lavoro somministrato): “Ora che vige il metodo contributivo- ha ricordato Mattina- per i periodi di lavoro flessibile esiste una piena copertura previdenziale che risulterà utile quando tanti giovani arriveranno all’età della pensione. Poi, rispetto ai vari tipi di lavoro flessibile è utile indirizzarsi verso una collaterale formazione, usufruendo delle specifiche tutele”. Il vicepresidente del gruppo Quanta ha, al termine del suo intervento, stigmatizzato il ricorso al lavoro parasubordinato che spesso nasconde un vero e proprio lavoro a tempo indeterminato; ha auspicato una vera riforma del sistema universitario ed ha invitato i giovani a “organizzarsi e a rivendicare l’autonomia dei comportamenti individuali, perché la classe politica deve avere rispetto di tali atteggiamenti”. Il responsabile dell’area sindacale della Confindustria di Bergamo, Stefano Malandrini, tra i
curatori per la “Giuffrè Editore” dello “Sviluppo del ‘capitale umano’ tra innovazione organizzativa e tecniche di fidelizzazione” ha ricordato come in questo momento di pesanti tagli di personale, ci siano aziende che offrono ai loro addetti piani di formazione importanti purchè rimangano nel loro gruppo industriale. “Tante nostre realtà metalmeccaniche- ha ammesso Malandrini- soffrono questa condizione di precarietà, ma esistono anche situazioni in cui i lavoratori coinvolti colgono le opportunità nei luoghi di lavoro e, dopo un’interruzione di lavoro, riescono a trovare un reimpiego a termine. Molto si basa sulla propensione all’impegno professionale, alla formazione, alla
capacità di apprendimento continuo, ma di fatto può realizzarsi una fidelizzazione tra addetto ed impresa basata proprio sul concreto percorso formativo e sull’investimento relativo al dipendente realizzato dal datore di lavoro”. Angelo Nozza, il “capo” dei metalmeccanici della Uil bergamasca, ha ripetuto più volte “la necessità di un Paese che deve recuperare competitività ed investire sulla testa della gente, premiando merito, produttività, industria manifatturiera, architrave dell’economia nazionale attualmente in lenta ripresa”. Il sindacalista ha parlato di “un patto generazionale che deve caratterizzarsi non solo a livello previdenziale, ma anche attraverso una
solidarietà nei luoghi di lavoro in fabbrica”. Al termine del suo intervento ha avanzato la proposta della Uilm orobica: “Dobbiamo dare una continuità- ha concluso- a questi incontri a scuola. Il mondo dell’istruzione non riesce ad avere un serio collegamento con quello delle imprese e dell’economia collegata. Nel nostro rapporto continuo con i vari istituti superiori della provincia abbiamo la necessità di consolidare i momenti di confronto e creare una filiera che esprime esigenze ed offerta. Il sindacato può divenire la cerniera col
mondo della produzione mettendo in collegamento la domanda delle imprese con l’ offerta delle scuole. Si potrebbe realizzare un registro delle ‘buone pratiche’ relativo alla formazione, gli ‘stage’, le occasioni di lavoro a tempo parziale, o indeterminato,  fenomeni effettivamente realizzati che andrebbero così censiti e studiati. Per il nostro sindacato ci sarebbero gli spazi per ampliare l’azione dinamica a livello culturale e sociale, ben al di là della classica attività sindacale”. Circa 300 studenti, nell’aula magna del “Natta” per più di tre ore hanno ascoltato le voci che si sono alternate nel dibattito, rimanendo fermi sulle loro sedie ed indifferenti anche al suono della campanella che li chiamava alla pausa ricreativa. “Un successo!” ha esclamato, al termine della “kermesse” scolastica, Cinzia
Grana, funzionaria della Uilm locale, di fatto l’ideatrice di questi confronti. La testimonianza che questi ragazzi, nonostante i tanti discorsi sulla prospettiva, rimangano ancorati alle necessità contingenti l’ha resa proprio lei: “Quando le sedie hanno cominciato a svuotarsi- ha confidato la curatrice di “Uilm notizie” al sottoscritto- mi ha avvicinato Francesco Chiesa (uno dei tre studenti di cui abbiamo raccontato in apertura, ndr), chiedendomi se in caso di manifestazioni studentesche avessero potuto appoggiarsi da noi
metalmeccanici, dato che finora lo avevano fatto rivolgendosi alla Cgil. Ho risposto sorridendo di sì, che certamente potevano contare su di noi”. Mai togliere i sogni ai ragazzi e, soprattutto, mai negare la loro piazza.
*Capoufficio stampa della Uilm nazionale e direttore responsabile di “Fabbrica
società”