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Crisi Micron in Italia: dipendenti in ‘vendita’ online
L’azienda vuol tagliare 400 impiegati. Ma scatta la protesta in Rete. Per attirare l’attenzione di Renzi. E fermare gli esuberi.
SCONTRO
Ingegneri, matematici, informatici. Tutti in posa per la foto con il cartello «vendesi» bene in vista. Perché la professionalità non è in svendita, certo. Ma dal 7 aprile i 419 esuberi della Micron Semiconductor, azienda statunitense nel settore della microelettronica, saranno catapultati nel mondo della mobilità. Con tutto ciò che comporta.
VIA ALLA PROTESTA. Per richiamare l’attenzione sulla loro vicenda, i lavoratori dello stabilimento di Arzano, provincia di Napoli, hanno creato una vera e propria campagna mediatica intitolata «Il caso Micron» con tanto di pagina Facebook, profilo Twitter (hashtag #ilcasomicron), striscioni e slogan ironici, e hanno anche comprato degli spazi pubblicitari nella zona del porto di Napoli.
GLI ACCORDI ENTRO IL 7 APRILE. Il 7 aprile è la data ultima per trovare un accordo con l’azienda. E il tempo stringe.
Micron in Italia è arrivata tre anni fa acquistando Numonyx, azienda fondata nel 2008 da St Microelectronics e Intel, ed è presente con quattro stabilimenti – oltre ad Arzano, Agrate, Avezzano, Catania e Padova – per un totale di 1.100 lavoratori.
IL 40% DEGLI IMPIEGATI RISCHIA. A rischiare il posto, quindi, è quasi il 40% del totale degli impiegati sul territorio nazionale: il sito più colpito dai tagli è quello lombardo di Agrate, dove si stimano 223 eccedenze su 507 addetti, seguono Catania a 127 esuberi su 324 impiegati, Arzano con 52 su 131 dipendenti e Avezzano a quota 17 tagli su 92 persone, mentre nessun sacrificio è chiesto a Padova dove lavorano poche unità.
I TAGLI MAGGIORI IN ITALIA. Proprio da St Microelectronics proviene la maggior parte dei lavoratori oggi a rischio, tanto che i sindacati hanno chiesto il coinvolgimento ufficiale anche di questa azienda nella trattativa.
Il 20 gennaio il colosso Usa ha annunciato il nuovo piano industriale che prevede gli esuberi nell’ambito della trasformazione organizzativa globale: ma se in Italia a rischiare è il 40% del totale, su scala mondiale sono appena il 5%.
In sostanza, i tagli nella Penisola hanno lo scopo di far rientrare alcuni investimenti negli Usa e trasferirne altri nel Far East.
L’azienda vuole sbarazzarsi dei suoi ‘cervelli’
Giusy Piccione racconta a Lettera43.it la sua storia sfogando la rabbia: «Fino a prima del 20 gennaio si sentivano in una botte di ferro. L’azienda è in attivo, abbiamo avuto premi aziendali, pacchetti di azioni. E poi all’improvviso ha deciso di tagliare».
Giusy ha 40 anni, è laureata in ingegneria elettronica in Sicilia, ha lavorato quattro anni in Francia, ha fatto un esperienza di lavoro a Singapore. Poi è tornata in Italia: prima in St Microelectronics, poi il passaggio Micron, 15 anni in tutto. Uno di quei ‘cervelli’ di cui la politica si riempie la bocca.
OFFERTO IL TRASFERIMENTO. «Quello che ci propongono è di valutare il trasferimento all’estero, e pure alla svelta. Ma noi abbiamo famiglie, figli che vanno a scuola, case e mutui. Come fai a decidere di andartene in America?».
Per Giusy le istituzioni sono assenti: «Ci hanno abbandonato, Letta è stato sostituito da Renzi, che dice di voler fare tanto per i giovani. Ma io ho 40 anni, una laurea in Ingegneria elettronica, e mi trovo sull’orlo del licenziamento. Non so nemmeno se Renzi ne sia a conoscenza: quello che so è non ha detto né fatto nulla per aiutarci».
ACCUSE AI SILENZI DI STATO. Anche Andrea Catalano punta il dito contro lo Stato. «Questa vicenda dimostra la mancanza di spina dorsale delle istituzioni, del governo soprattutto, visto che parliamo di politica industriale. Le riunioni che facciamo al ministero sono quasi degli atti dovuti. Non ci sono prese di posizione, l’esecutivo si limita a fare da arbitro», dice.
Andrea è il classico dipendente modello: 38 anni, ingegnere elettronico, lavora nel settore dal 2002, girando nelle varie sedi italiane. Ha avuto riconoscimenti continui, bonus, azioni, promozioni.
FORMAZIONE INUTILE. «E ora come premio ci danno l’opportunità di andare in America», ride amaro, accusando l’Italia di non aver interesse a salvaguardare un patrimonio di professionalità. «Qui progettiamo tecnologia avanzata, dispositivi che girano il mondo anche grazie alla formazione pagata dallo Stato. Ma oggi vogliono buttare via questi soldi che hanno speso per noi».
LA FRANCIA SI È OPPOSTA. Una situazione analoga si era verificata in Francia, quando St Microelectronics decise il licenziamento di 1.200 dipendenti: «Ma lì il governo – che ha una colonna vertebrale – si è impuntato e ha chiesto il reintegro perché ha capito che si sarebbe impoverito nel settore strategico della microelettronica», ricorda Andrea, «l’Unione europea con il programma Horizon 2020 dice che la microelettronica è un obiettivo strategico per l’Europa, tanto che ha stanziato 100 miliardi per gli investimenti nel settore. E l’Italia va nella posizione opposta».
Sulla vicenda vigila il ministero dello Sviluppo economico
Il tavolo sulla vertenza è stato aperto al ministero dello Sviluppo economico (Mise) dal governo di Enrico Letta. Se ne sta occupando il sottosegretario Claudio De Vincenti, già impegnato sulle vertenze industriali dai tempi dell’esecutivo di Mario Monti.
I sindacati di settore, Fiom, Fim e Cisl hanno immediatamente rigettato il piano di tagli, protestando con un pacchetto di oltre 16 ore di sciopero e diverse manifestazioni, nonché una lettera consegnata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e diversi appelli al governo.
RIVISTO IL PIANO INDUSTRIALE. Un segnale di apertura da parte dell’azienda si è avuto il 20 marzo quando ha presentato la revisione del piano industriale già annunciata una settimana prima dal vicepresidente internazionale, Brian Henretty, che aveva assicurato di non voler lasciare l’Italia, ma anzi che l’azienda era intenzionata a investire, per le proprie attività nel nostro Paese, 20 milioni di dollari in due anni, essenzialmente su Ricerca e sviluppo e sull’Information Technology: una modifica alla strategia globale che, in termini numerici, avrebbe potuto diminuire gli esuberi dagli iniziali 419 a 309.
RICORSO AGLI AMMORTIZZATORI. Per 60 sarebbe previsto il trasferimento in altre sedi all’estero, per 30 il trasferimento in altre sedi in Italia, mentre 20 lavoratori beneficerebbero del potenziamento delle attività negli stabilimenti di appartenenza.
In aggiunta è in discussione il ricorso agli ammortizzatori sociali e agli esodi incentivati, anche se su questi aspetti non c’è ancora accordo e deve esprimersi il ministero del Lavoro.
I sindacati hanno rifiutato il pacchetto di Micron
La soluzione non è piaciuta ai sindacati, che hanno respinto il pacchetto offerto da Micron. Il tavolo è già stato riconvocato per il 1 e il 7 aprile al Mise.
Nel frattempo, le delegazioni di Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto un incontro alla presidenza del Consiglio giudicando insoddisfacenti le aperture dell’azienda. «Sono molto preoccupato per la vertenza Micron», spiega Luca Colonna, segretario nazionale Uilm-Uil.
SFUMANO I POSTI DI LAVORO. Per il sindacalista «la proposta di abbassare il numero degli esuberi di 20 unità nei siti di origine, di ricollocarne 30 in Italia e 60 all’estero e per i restanti 309 di utilizzare la Cigs per 12 mesi con ‘pochissima’ rotazione non va bene, perché comunque si perdono posti di lavoro nel nostro Paese e perché la Cigs, in assenza di concrete prospettive di ricollocazioni in altre aziende di Microelectronics, rappresenta un mero spostamento in avanti nel tempo dei licenziamenti», è la sua tesi.
L’APPELLO AL GOVERNO. Ma non basta. Per un effetto della riforma Fornero – che il sindacalista giudica «perverso» – «il tempo che guadagneremmo nel 2015 con la cassa integrazione, lo perderemo sulla durata dell’Aspi. Per questo, abbiamo rigettato la proposta della Micron e chiediamo l’intervento di Renzi per evitare di disperdere risorse professionali di alta qualificazione, utili, anzi necessarie, per sviluppare ulteriormente questo settore strategico».
L’AZIENDA NON TRATTA. Micron, tuttavia, sembra intenzionata a non concedere altro spazio, avendo fatto delle concessioni rispetto al piano originario che vede il core focus dell’azienda spostarsi verso il Pacifico.
«In una fase così delicata della trattativa riteniamo opportuno non rilasciare dichiarazioni, ma esprimerci esclusivamente nelle sedi istituzionali», rispondono alle richieste di Lettera43.it da Micron Italia. Dove però chiariscono che la scelta di mantenere un consistente numero di esuberi, oltre 300, a fronte delle rassicurazioni di non voler affatto disinvestire nel nostro Paese deriva dal fatto che «Micron si trova in una situazione di mercato e geografica in cui ha interesse a mantenere in Italia ciò che non ha bisogno di essere fisicamente vicino ai siti produttivi dei nostri clienti. E su questo si va a costruire il piano di investimenti presentato».
Mercoledì, 26 Marzo 2014