Il segnale dei 19 licenziati in Alcatel Lucent


Il 5 ottobre si è conclusa, con un mancato accordo, la procedura di licenziamento collettivo di 19 lavoratori e lavoratrici di Alcatel Lucent, multinazionale franco americana delle telecomunicazioni, prossima alla fusione con la finlandese Nokia.

Il tutto è avvenuto alla presenza e con il tenace intervento del Sottosegretario al LavoroTeresa Bellanova, che, però, non è stato sufficiente a modificare la decisione aziendale.

Il licenziamento collettivo di queste 19 persone, che deriva dal mancato accordo ci deve, a mio avviso, preoccupare: in primo luogo per gli interessati, ma anche perché mi sembra il segnale di un negativo cambiamento di posizione delle grandi aziende nel rapporto con le ristrutturazioni.

I “19” infatti sono quanto residua da un complesso piano di riorganizzazione dell’azienda che, tra ricorso alla ricollocazione interna ed esterna, la cessione di rami di azienda e le uscite incentivate, ha coinvolto nell’ultimo quinquennio più di 700 dipendenti in Italia. Si potevano dunque usare ancora strumenti non traumatici per continuare a gestire la situazione, ma la dirigenza aziendale ha deciso prende una “scorciatoia” dagli esiti traumatici.

In questa sede mi interessa riflettere sulle motivazioni di questa scelta. In primo luogo, giusto un anno fa, la Nokia, cioè la società che incorporerà Alcatel, ha effettuato 109 licenziamenti collettivi senza accordo sindacale e, si sa, i cattivi esempi sono sempre pericolosi, soprattutto se a seguirli sono manager che in prospettiva rischiano di diventare esuberi e che vogliono dimostrare di essere determinati e “cattivi”. Ricordiamo anche che l’estate scorsa l’Ericsson, altra multinazionale delle telecomunicazioni (che applica il contratto “telefonico”, ndr) ha licenziato 300 persone.

Poi, c’è un contesto esterno che oggettivamente favorisce questi comportamenti: dal presidente di Confindustria Squinzi che attacca il Sindacato, fino al Governo che riforma la cassa integrazione in modo di rendere più difficile e oneroso il ricorso.

Intendiamoci: per questi lavoratori c’era la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione con le “vecchie regole”, ma in questi casi si “leggono i segnali politici”.

Infine, c’è l’assenza di strumenti a disposizione delle Istituzioni per condizionare le grandi multinazionali: gran parte dei prodotti e dei servizi di Alcatel sono condizionati da norme e regolamentazioni statali, ma l’Unione Europea e le interpretazioni italiane delle norme, ci ha privato di un qualsiasi controllo sulla provenienza di queste merci.

Sarebbe eccessivo pretendere che apparati e sistemi TLC vengano integralmente prodotti in Italia, ma chiedere che si possa privilegiare chi da lavoro e investe in Europa mi sembra una soluzione in grado di aiutare l’industria del nostro continente a non perdere questo settore strategico per il futuro.

Luca ColonnaSegretario nazionale della Uilm

Ufficio Stampa  UIlm
Roma, 15 ottobre 2015