di Andrea Farinazzo
Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione risponde dell’infortunio di un lavoratore dipeso da una condotta imprudente, trattandosi di una conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi. È la formazione dei lavoratori l’argomento di cui si è interessata la Corte di Cassazione in questa sentenza emessa a seguito del ricorso alla stessa presentato dal datore di lavoro di una azienda condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile dell’infortunio mortale occorso a un lavoratore dipendente investito da alcuni pesanti elementi metallici che stava sollevando con un carrello elevatore al posto di una gru così come previsto dal POS aziendale. L’accusa era stata di non avere idoneamente formato il lavoratore, di non avere scoraggiato l’utilizzo di un mezzo diverso da quello previsto per le operazioni di sollevamento mentre la difesa era stata basata sulla notevole pregressa esperienza lavorativa posseduta dall’infortunato e sul suo comportamento ritenuto nella circostanza imprudente e negligente.
Due i principi richiamati dalla Corte di Cassazione ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità e ai quali la stessa ha fatto ricorso per assumere le proprie decisioni. Il primo secondo cui in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l’attività di formazione del lavoratore alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro e il secondo in base al quale il datore di lavoro stesso che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore se, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti essendo stato proprio il suo comportamento una conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi. È quindi in applicazione fondamentalmente di tali due importanti principi riguardanti la formazione dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro che la Corte suprema ha rigettato il ricorso dell’imputato confermando le decisioni già assunte dalla Corte di Appello e condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni
La Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale con la quale il legale rappresentante di una società, oltre che datore di lavoro e responsabile per la sicurezza del cantiere gestito dalla società stessa, era stato condannato per il reato di omicidio colposo ai danni di un lavoratore dipendente deceduto in conseguenza di un infortunio avvenuto all’interno di uno stabilimento, ha escluso uno degli addebiti colposi e rideterminata la pena, previa concessione delle attenuanti generiche.
In particolare, la società doveva procedere alla realizzazione di nuove linee per la distribuzione esterna dell’acqua riscaldata mediante la realizzazione di una dorsale metallica sopraelevata e previa posa in opera di alcuni moduli metallici che assemblati avrebbero dovuto sormontare una pipe-rack preesistente. Per tale operazione doveva servirsi di una gru, così come previsto nel POS aziendale mentre la stessa era stata effettuata mediante l’impiego di un muletto, macchinario risultato inadatto allo scopo. Durante tali operazioni il lavoratore infortunato, che era anche caposquadra, non era riuscito a reggere la fiancata di uno dei moduli del peso di circa 3,5 quintali finendo con l’essere colpito dalla stessa e riportava lesioni dalle quali era poi derivato, a distanza di circa due mesi, il decesso.
L’imputato in primo grado era stato giudicato responsabile di un addebito colposo commissivo e cioè di aver dato l’ordine di spostare la gru in una differente zona del cantiere all’interno della stessa area di lavoro, privando i lavoratori coordinati dalla vittima dell’unico strumento idoneo a quella operazione, nonché di omessa formazione e informazione del lavoratore stesso circa i rischi connessi alla lavorazione da eseguirsi. Il primo addebito era stato però escluso dalla Corte territoriale non essendo emersa una prova idonea della sua esistenza.
La difesa del legale rappresentante della società ha proposto ricorso formulando due motivi con i quali ha dedotto un vizio di motivazione per avere la Corte territoriale addebitato al datore di lavoro di non avere formato il lavoratore deceduto e di non averlo scoraggiato a utilizzare un diverso mezzo inadatto allo scopo, pur riconoscendo che aveva disatteso le previsioni del POS in ordine alla idoneità della sola gru a eseguire tale lavorazione, e per non avere la stessa Corte valutato il suo comportamento esorbitante, eccentrico e eccezionale ritenuto tale da interrompere il nesso causale tra la condotta addebitata e l’evento.
Secondo la difesa, infatti, non era stata l’omessa formazione sul corretto funzionamento della gru a causare l’evento, ma l’uso da parte del lavoratore di un diverso macchinario il cui impiego era escluso dai documenti per la sicurezza. Il suo comportamento quindi e la sua scelta di proseguire la lavorazione con il muletto aveva generato un rischio nuovo che il datore di lavoro non poteva prevedere e neppure valutare secondo un giudizio ex ante, avendo gli obblighi di informazione e formazione riguardato solo la pericolosità del mezzo previsto per quella lavorazione.
Nessuna responsabilità quindi, secondo la difesa, poteva essere ascritta all’imputato, rispetto a un rischio generato da una scelta estemporanea della vittima diverso da quelli previsti nel POS ed estraneo alle procedure lavorative in esecuzione, in quanto vi sarebbe stata l’interruzione del nesso causale tra la condotta addebitata e l’evento.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha messo in evidenza che la Corte territoriale aveva ritenuto provata la responsabilità del datore di lavoro essendo emersa dalle evidenze la mancanza di una formazione del lavoratore e aveva ritenuta irrilevante l’esperienza dello stesso maturata sul campo. In particolare, era emerso che il lavoratore infortunato, benché era un caposquadra e un preposto di fatto, non era mai stato formato per tali attività; il suo bagaglio professionale vantava anche una SOA che certificava la sua partecipazione a lavori pubblici ma i giudici territoriali tuttavia avevano ritenuto che tale condizione non esentasse il datore dagli obblighi di cui all’art. 37 del D. Lgs. n. 81/2008, recante la disciplina della formazione del lavoratore sotto il profilo specifico della sicurezza. Proprio tale gap formativo, secondo la Corte suprema, è stato correlato alla scelta infausta operata il giorno dell’infortunio non essendo stato provato che l’ordine di spostare la gru in altro sito e di procedere con il muletto per quella lavorazione fosse stato impartito dal datore di lavoro o che costui lo avesse in alcun modo saputo e avallato.
I giudici di merito, ha sottolineato ancora la Corte di Cassazione, erano giunti alla conclusione secondo cui il lavoratore infortunato, nella qualità di preposto, soggetto al quale è anche destinata l’attività contemplata nella norma citata, avrebbe dovuto ricevere una formazione non limitata all’impiego della gru, ma indirizzata anche alla conoscenza dei fattori di rischio connessi alla lavorazione assegnatagli e, quindi, estesa anche alle ragioni per le quali era la gru il macchinario da utilizzare, come tale insostituibile per la sua esecuzione. Né tale difetto poteva ritenersi compensato dalla professionalità acquisita negli anni dal lavoratore, il cui agire, nell’occorso certamente colpevole, non poteva comunque ritenersi imprevedibile per il datore di lavoro, stante il difetto di informazioni allo stesso fornite. Il lavoratore quindi, secondo la suprema Corte, aveva agito nell’ambito delle funzioni assegnategli e del segmento di lavorazione attribuitogli, in assenza di adeguata e specifica formazione che avrebbe potuto scoraggiare l’impiego di un mezzo non idoneo per la lavorazione, in un cantiere nel quale, nonostante le possibili interferenze tra le lavorazioni in corso, non esisteva neppure una figura di controllo e organizzativa, essendo il datore di lavoro l’unica figura apicale.
La suprema Corte, inoltre, non ha ritenuto condivisibile l’obiezione difensiva correlata alla asserita imprevedibilità per il gestore del rischio di quello introdotto dalla condotta imprudente del lavoratore, ritenuto dalla difesa del tutto eccentrico rispetto a quello oggetto della regola cautelare violata. La sentenza impugnata, secondo la Sezione IV, ha fatto corretta applicazione di un principio più volte affermato dal giudice di legittimità, a mente del quale “il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi” citando in merito, come precedente, la sentenza n. 39765 del 2/10/2015, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “ Infortunio per comportamento abnorme e mancata formazione: le responsabilità”. Né la difesa ha colto nel segno, ha sostenuto ancora la Sezione IV, allorquando ha agitato, anche in sede di ricorso, l’argomento che fa leva sul profilo professionale e sull’esperienza della vittima, maturata sul campo. Ancora una volta pertanto la risposta della Corte di merito è risultata essere coerente con un condivisibile principio più volte affermato dalla Corte di legittimità e cioè che in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l’attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. Quindi in conclusione, secondo la Sezione IV, la Corte territoriale ha correttamente evidenziato nel caso in esame che la condotta del lavoratore non era stata imprevedibile, proprio in relazione alla sua mancata formazione e informazione sui rischi specifici connessi all’impiego di un macchinario diverso da quello contemplato nel POS e che nessun rischio eccentrico poteva dirsi essere stato introdotto imprevedibilmente dallo stesso ponendosi la sua condotta quale diretta e prevedibile conseguenza della mancanza conoscitiva sui rischi connessi alla lavorazione nel corso della quale era avvenuto l’infortunio.
Ruolo del rls nei programmi di formazione del Datore di Lavoro
Rispondiamo alla domanda partendo dal generale, ovvero dalle attribuzioni del RLS indicate nell’articolo 50 del testo unico che, di seguito, citiamo testualmente:
“il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’articolo 37;
Il fine ultimo di queste mansioni è fornire al Datore di lavoro ulteriori conoscenze e informazioni rilevate ai pericoli reali riscontrati durante lo svolgimento dell’attività lavorativa che possono influenzare il contenuto della formazione obbligatoria o che richiedano una rivalutazione della stessa. Tuttavia, si tratta di valutazioni di cui il datore di lavoro deve tener conto per avere una visione più dettagliata del profilo di rischio della sua azienda, per poi decidere quali misure attuare in autonomia. Ciò vuol dire che il RLS non ha potere decisionale e, di conseguenza, responsabilità in materia, può solo riferire e segnalare le problematiche riscontrate.