L’Editoriale

Care lavoratrici e cari lavoratori,

siamo ormai in piena emergenza di guerra. Sono trascorsi più di 40 giorni da quando Putin ha iniziato un conflitto assurdo in Ucraina che sta provocando migliaia di vittime civili innocenti. Durante la fase iniziale del conflitto nessuno di noi immaginava che potesse esserci un attacco così spietato nei confronti della popolazione ucraina con il bombardamento di ospedali, scuole, ricoveri per anziani. Purtroppo è avvenuto, sta avvenendo ancora oggi, e nonostante le sanzioni messe in atto dall’Europa e dagli Stati Uniti, non vediamo ancora gli effetti sperati che possano portare verso un accordo di pace.

Senza volermi addentrare su tematiche complesse e sugli effetti drammatici legati all’esodo di migliaia e migliaia di bambini, anziani e donne, siamo consapevoli che forse non abbiamo fatto tutti il necessario per convincere il dittatore Putin a bloccare la guerra.
Hanno pesato molto le indecisioni delle Nazioni Unite, ma anche della stessa Europa con il tentennamento di Macron, per non parlare della collateralità della Cina che mette in dubbio addirittura le immagini dei morti, come se fossero un bluff messo in piedi dagli stessi ucraini.

Al momento non ci sono le condizioni per stabilire quando questo conflitto terminerà, una cosa però è certa: oltre a provocare un clima di paura e incertezza sul futuro, la guerra innesca anche un peggioramento delle condizioni economiche e quindi di vita all’interno di ogni singolo Paese.

Nonostante il conflitto si consumi fuori dai nostri confini, l’Italia vive questo momento con grande apprensione e soprattutto la guerra ha fatto sì che tutti gli altri temi e problemi venissero messi quasi in secondo piano in un clima di rassegnazione e di attesa. Se con il Covid si è registrata una reazione da parte del governo nella ricerca di soluzioni in grado di contrastare quel fenomeno, per quanto riguarda invece questa fase sembra che tutti i problemi siano irrisolvibili. E nessuno si lamenta. Il tentativo di abbassare il prezzo del carburante è stato l’unico atto concreto, ma per il resto siamo di fronte all’aumento delle bollette di energia e gas che vede i cittadini perdere ogni giorno che passa potere di acquisto. I dati di crescita che sembravano sfiorare il 5% per quest’anno pare siano stati ridimensionati all’1,5% e l’inflazione al 6% sta eliminando qualsiasi possibilità di aspettativa e di crescita dei salari.

Non si parla più di crisi aziendali, non ci sono all’ordine del giorno discussioni al ministero dello Sviluppo economico, e non perché siano state risolte. Quando il Paese si rassegna vuol dire che non siamo in grado di poter realmente aiutare le persone in difficoltà.

È emblematica la situazione della siderurgia e in particolare dell’ex Ilva, dove è stata avviata una cassa integrazione per 3mila persone senza accordo sindacale e con l’assenso del ministero del Lavoro. Anche il tema della transizione sembra essere passato in secondo piano e abbiamo problemi seri per l’approvvigionamento di gas e materie prime; nonostante tutto non c’è una reale discussione su come il nostro Paese intenda superare la dipendenza e la fase di profondo cambiamento che è stata annunciata.

In questi giorni, dopo diverse richieste da parte di Cgil Cisl e Uil, c’è stato un incontro con il presidente Draghi sul Def. È stato un incontro interlocutorio, ci sono problemi irrisolti che riguardano gli ammortizzatori sociali, il lavoro e in modo particolare le crisi aziendali e il sistema pensionistico. Problemi che, come ricorderete, hanno portato la Uil a fare uno sciopero con manifestazione il 16 dicembre scorso. Dobbiamo assolutamente evitare che due anni di pandemia e adesso gli oltre 40 giorni di guerra inneschino anche tra la nostra gente un clima di impotenza e rassegnazione.

Questi sentimenti, che per alcuni versi sono giustificati, rischiano di distruggere le organizzazioni che basano la forza sul consenso dei lavoratori e sulle azioni di lotta. Dobbiamo rapidamente avviare una nuova fase di discussione e di coinvolgimento dei lavoratori all’interno e fuori dai luoghi di lavoro.

L’avvio della fase congressuale, che raggiungerà il livello più intenso a maggio e giugno, deve essere l’occasione anche per poter discutere insieme ai quadri sindacali della necessità di rimanere uniti e determinati. Dobbiamo evitare di giustificare questa fase di stallo che inevitabilmente rischia di proiettarci nel periodo elettorale previsto per il 2023 ma che già mostra i primi segnali.

Dobbiamo sconfiggere qualsiasi forma di populismo e strumentalizzazione, non possiamo permettercelo. Il nostro Paese rischia di arretrare e mettere in discussione tutto ciò che è stato costruito negli anni e le associazioni dei lavoratori ne pagherebbero un caro prezzo. Dobbiamo continuare a rinnovare i contratti e a gestire i rinnovi realizzati nel 2021, a partire da quello Federmeccanica-Assistal. Bene stiamo facendo sulla gestione della formazione, degli inquadramenti, della parità di genere e di tutti i temi che abbiamo inserito nel nostro rinnovo; i contratti ci danno la possibilità, inoltre, di continuare a discutere anche con le parti datoriali e hanno un valore intrinseco che è importantissimo per il Paese.

Ovviamente dobbiamo continuare a cercare un confronto continuo anche con il governo e i ministeri competenti in merito alle crisi e alle sfide che ci attendono nel prossimo futuro.

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