Orafi-argentieri e gioiellieri: un settore prezioso da tutelare

di Luca Maria Colonna

Il 30 giugno 2020 è scaduto il CCNL dell’industria orafa, argentiera e del gioiello, si tratta dell’unico CCNL “affine” che il Sindacato dei metalmeccanici negozia con la Federorafi per i lavoratori dipendenti dalle aziende di questo piccolo ma importante settore.
Mi si perdoni la digressione, ma colgo l’occasione per ricordare che l’altro settore “affine” ai metalmeccanici, quello odontotecnico nel 2011 è stato assorbito, insieme agli artigiani orafi, argentieri e del gioiello, nel CCNL dell’artigianato cosiddetto “area meccanica”.
Come è ovvio, abbiamo presentato la piattaforma che in linea di massima ripropone le richieste che abbiamo presentato per i metalmeccanici e sia pur con le difficoltà di svolgere le riunioni “da remoto” abbiamo anche avviato il negoziato con la Controparte.

UN SETTORE CHE CONTA
Ho definito il CCNL dell’industria orafa piccolo perché con un limitato numero di aziende e dipendenti: secondo l’INPS nel 2019, il CCNL 123 (questo il codice contratto applicato dell’Istituto previdenziale) era applicato da 706 aziende per 11.557 dipendenti (come media annua).
Tuttavia è importante perché, così come la metalmeccanica, anche l’oreficeria, l’argentiero e la gioielleria hanno un peso notevole per la manifattura italiana e soprattutto per il commercio con l’estero: nel 2018 in Italia sono state trasformate 75 tonnellate di oro, valore che ci colloca al terzo posto nel mondo dopo Cina (690 T) e India (630 T) e 608 tonnellate di argento, valore che ci colloca a livello mondiale dopo l’India (3700 T), Cina e Tailandia.
Il surplus commerciale del settore nei confronti dell’estero è stato nel 2018 di 4,5 miliardi di euro mentre la percentuale di imprese del settore che esportano si colloca al di sopra del 75%. Per molti anni, le esportazioni orafe, argentiere e del gioiello sono state la seconda voce di attivo della bilancia commerciale dopo le produzioni metalmeccaniche. Solo di recente sono state superate dall’agroalimentare a causa del duplice effetto dello sviluppo della agricoltura e dell’industria alimentare italiana (e questo è bene) e della concorrenza delle produzioni orafe di Cina, India, Turchia e altri Paesi orientali (e questo invece non è bene).

COSA SI PRODUCE
Nel settore orafo, usando la classificazione ATECO 2007 per lo scopo per la quale è stata definita, sono comprese le imprese che svolgono le seguenti attività:

  • 24410: produzione di metalli preziosi e semilavorati;
  • 26520: fabbricazione di orologi;
  • 32110: coniazione di monete;
  • 32121: fabbricazione di oggetti di gioielleria ed oreficeria di metalli preziosi o rivestiti di metalli preziosi;
  • 32122: lavorazione di pietre preziose e semipreziose per gioielleria e per uso industriale.

Va segnalato che il 90% delle imprese e degli addetti sono concentrati nel codice “32121”.

Occorre anche sottolineare che le produzioni orafe, argentiere e del gioiello non sono svolte solo dall’industria, infatti una parte significativa di imprese e lavoratori applicano il CCNL dell’artigianato “Area meccanica” (codice contratto 116) nel quale dal 2011 è confluito il CCNL che negoziavamo con le imprese artigiane del settore.
Nell’applicazione del contratto nazionale dell’artigianato “Area meccanica”, l’INPS non ci permette di distinguere tra chi è artigiano metalmeccanico, chi è autoriparatore e chi invece è orafo. Se vogliamo avere un ordine di grandezza di quanti sono i dipendenti dell’artigianato orafo, argentiero e del gioiello, dobbiamo quindi svolgere alcune elaborazioni su dati forniti dall’ISTAT, che ci portano a stimarli in circa dieci mila. A cui vanno sommati quasi altrettanti titolari di impresa, la metà dei quali non ha dipendenti.
Dunque, quasi 30 mila addetti del settore orafo, argentiero e del gioiello producono (o meglio producevano in anni recenti) più di 5 miliardi di euro di fatturato che viene esportato in una misura pari al 75/80%.
Certo, il valore della materia prima è assolutamente rilevante per raggiungere questi risultati, ma l’attività manifatturiera italiana in questo settore è e resta importante. Del resto, grandi case del lusso come LVMH, che possiede tra gli altri il marchio Bulgari, e Richemont che possiede il marchio Cartier, oltre naturalmente altri marchi nella gioielleria, nell’orologeria e nella moda, si sono insediate nel nostro Paese con acquisizioni che – talvolta avviene – hanno rafforzato le imprese acquisite e addirittura ampliato la base occupazionale.

PROVINCE CHE BRILLANO
Il settore orafo, argentiero e della gioielleria presenta inoltre un’altra particolarità, è concentrato in tre province italiane: Alessandria (precisamente nel comune di Valenza Po’), Arezzo e Vicenza.
Il 75% dei dipendenti sono collocati in queste tre province, sedi di “distretti orafi” e solo il 25% è collocato nel resto di Italia. Se però guardiamo la distribuzione dei lavoratori dipendenti per qualifica scopriamo che nel resto d’Italia si registrano percentuali più alte di quadri e dirigenti che oscillano intorno al 40%, dato che si spiega con le concentrazioni di personale con compiti di direzione e di gestione nelle società del lusso, collocato perlopiù a Milano, Firenze e Roma.
Ma al di fuori di queste realtà, nelle province di Alessandria, Arezzo e Vicenza è assolutamente prevalente il personale più legato alle attività manifatturiere svolte da operai e apprendisti che sono quasi l’80% della forza, mentre dirigenti, quadri e impiegati arrivano a poco più del 20%. In sostanza l’attività produttiva si svolge in quei tre distretti.
Non solo, i tre “distretti” hanno caratteristiche specifiche e ben differenziate: a Valenza Po’ si colloca sull’alto di gamma e non a caso ha rapporti più stretti con Svizzera e Francia, le nazioni dove risiedono le grandi multinazionali del lusso. Vicenza lavora nella gamma di medio livello e ad Arezzo si produce su più larga serie, perlopiù catene e anelli nuziali.
La prevalenza ad Arezzo di attività produttiva con l’ausilio di macchinari, spesso costruiti o fortemente adattati dalla stessa impresa orafa, si rispecchiano nella prevalenza di lavoro maschile in un rapporto 60/40% e in una presenza decisamente superiore alla media di personale di origini extracomunitarie: uno su sei.
Invece, sia a Valenza Po’ sia a Vicenza e anche nel resto d’Italia, l’attività orafa, argentiera e della gioielleria è equamente suddivisa tra uomini e donne e la presenza di personale extracomunitario è sotto al 5%.

PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Infine, occorre soffermarsi sulle dimensioni aziendali che sono mediamente assai ridotte (in questo caso comprendiamo sia le imprese industriali che quelle artigiane): nel 2018, su 6.500 imprese con dipendenti, 5.900 avevano tra 1 e 9 dipendenti con una media pari a 2,2 dipendenti, 568 si collocavano tra 10 e 49 con un totale di poco più di 10 mila dipendenti e una dimensione media di 18 dipendenti e 61 imprese avevano più di 50 dipendenti con una occupazione superiore a 6.500 unità e una dimensione media di 107 dipendenti per impresa.
Di queste imprese, se torniamo con la mente ai primi dati forniti nell’articolo, 706 sono quelle che applicano il CCNL dell’industria orafa, argentiera e del gioiello e quindi – possiamo ragionevolmente presumere – tutte le 61 imprese con più di 50 dipendenti, quasi tutte quelle tra 10 e 49 dipendenti (che lo ricordiamo sono 568) e alcune delle 5.900 imprese che hanno meno di 10 dipendenti, connotando comunque un settore così come definito dal campo di applicazione del CCNL, di industrie di piccole dimensioni, la cui dimensione occupazionale media si attesta a 16 unità.
Quindi ci troviamo un contratto applicato a molte piccole e medie industrie, a prevalentemente conduzione familiare ma con una presenza minoritaria di aziende di dimensioni medie e mediograndi che occupano poco meno della metà della forza lavoro interessata e di queste ultime, molte sono di multinazionali, che applicano le logiche, a volte contorte, di aziende quotate sui mercati finanziari.

COME VA LA CONGIUNTURA?
Svolta questa analisi di struttura sul settore orafo, argentiero e del gioiello, resta da chiedersi come va la congiuntura? Anche in questo caso la risposta è “bipolare”. Da un lato ci sono le piccole imprese familiari, con produzioni di qualità ma tradizionali, mercati di sbocco consolidati (una serie di grossisti collocati negli USA, piuttosto che negli Emirati Arabi o in Cina) che venivano contattati periodicamente durante le fiere che si svolgevano in Italia o all’estero: siccome, a causa del Covid19 non si svolgono fiere, queste imprese anche in osservanza del blocco delle attività di marzo e aprile, si sono fermate.
Aggiungiamoci che spesso si tratta di aziende con investimenti in stabilimenti e macchinari ampiamente ammortizzati, che comunque sono poco indebitate e si può comprendere come la strategia del “letargo”, cioè “sto fermo fino a che non passa la pandemia!” potrebbe anche avere un suo perché.
Questa strategia ha però il grosso difetto di scaricare i costi del fermo produttivo sui lavoratori, che subiscono la Cigo Covid19, e anche sull’INPS (anche se magari è la prima volta che la utilizzano), ma potrebbe anche funzionare…
Tuttavia, il rischio di chi va in “letargo” è quello di svegliarsi in un mondo molto differente rispetto a quello di prima, con altre aziende che hanno fatto scelte, impostato strategie, esplorato nuove tecnologie, cercato e magari trovato nuovi canali di vendita. E non è un caso che in questi tempi le imprese del settore si stanno informando e documentando su come funziona l’“e-commerce” piuttosto che lo “smart working”.
Dall’altro, ci sono le aziende di proprietà delle multinazionali, che non “possono proprio stare ferme”, perché la quotazione in borsa le obbliga a “muoversi”, a “dare numeri e prospettive”, a creare anche nuovi canali di vendita, anche se c’è una certa differenza tra acquistare on line un paio di occhiali, di scarpe o un vestito, e acquistare un gioiello o un orologio costoso.
In questo contesto, sarebbe sbagliato “tifare” per una o l’altra soluzione: non è di nostra competenza e non è una nostra responsabilità.
Il nostro obiettivo, anche in questo settore, è quello di rinnovare un contratto nazionale nel modo migliore possibile, portando ai lavoratori e alle lavoratrici del settore, tutele e salario. Avere chiare le traiettorie evolutive delle imprese e del mercato però ci serve per comprenderne obiettivi e strategie e quindi reagire adeguatamente.

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