Una lettera di recesso dal contratto di affitto e il rischio occupazionale per 20mila lavoratori. La bomba sociale e ambientale dell’ex Ilva scoppia lunedì 4 novembre tramite una nota stampa di ArcelorMittal che dichiara di voler recedere dal contratto dopo il provvedimento legislativo che ha soppresso le tutele legali previste dal Decreto Imprese, ma anche a causa di altre situazioni che renderebbero impossibile l’attuazione del piano industriale e ambientale.
Non un fulmine a ciel sereno, secondo il Segretario Generale della Uilm, Rocco Palombella, perché “ce l’aspettavamo dopo le ultime decisioni del governo e del Parlamento”, fermo restando “la gravità della decisione della multinazionale franco-indiana e la situazione drammatica dal punto di vista ambientale e occupazionale che ora si apre”.
LA LETTERA AI COMMISSARI
Nelle sei pagine della lettera inviata ai Commissari di Ilva Spa, il neo amministratore delegato, Lucia Morselli, spiega i motivi che hanno portato alla decisione drastica di risolvere il contratto e rimettere lo stabilimento nelle mani dell’amministrazione straordinaria. Oltre alla soppressione delle tutele legali, che secondo l’azienda sarebbero previste come clausola di recesso dal contratto di affitto stipulato tra lo Stato italiano e ArcelorMittal, ci sarebbero ulteriori problematiche legate allo spegnimento dell’altoforno 2 il 13 dicembre prossimo per l’impossibilità di rispettare le prescrizioni previste dal Tribunale di Taranto, il clima difficile e le avversità della politica nazionale e locale, oltre alle difficoltà operative in uno stabilimento che sconta anni di assenza di attività di manutenzione.
ArcelorMittal, in forza della clausola di recesso che sarebbe prevista dal contratto, dichiara di voler risolvere l’accordo e ha avviato la procedura che dà 30 giorni ai Commissari straordinari per assumersi le responsabilità per le operazioni e i dipendenti.
INCONTRO CON IL GOVERNO
Il 7 novembre a Palazzo Chigi si è svolto un incontro tra il governo, le parti sindacali e i rappresentanti degli enti locali. Un sostanziale nulla di fatto: il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha ribadito la volontà dell’Esecutivo di non voler chiudere lo stabilimento e di trovare una soluzione per risolvere questa difficile situazione. “E’ urgente adottare decisioni definitive, soluzioni serie e concrete per salvaguardare il futuro di 20mila lavoratori e di un’intera comunità” ha dichiarato il leader della Uilm e “il Governo deve decidere cosa fare dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa e del settore della siderurgia in Italia”. Secondo il Segretario generale Uilm bisogna fare anche chiarezza e dire “a tutti i lavoratori e ai cittadini che quella fabbrica non può essere sostenibile economicamente con i forni elettrici o a gas” come non lo è “con una produzione di 4 milioni di tonnellate oppure con la chiusura dell’area a caldo, con importazioni dall’estero da stabilimenti del gruppo di semi prodotti”. Rispetto alle richieste di ArcelorMittal, Palombella le definisce “inaccettabili e perché si prevedono 5mila esuberi che si aggiungono ai 2mila in Amministrazione straordinaria e ai 5mila dell’indotto”.
Un’altra questione fondamentale, oltre alle tutele legali, è le condizioni degli impianti, in particolare l’altoforno 2 che è attualmente sotto sequestro con facoltà d’uso ma che, in caso di mancata esecuzione delle prescrizioni previste dalla decisione del Tribunale di Taranto, il 13 dicembre prossimo verrà spento.
“Gli altiforni – prosegue – scontano anni di mancata manutenzione e servono urgenti interventi straordinari. Se si fermano gli altiforni, non c’è possibilità di riattivarli con la conseguenza della fine della produzione la chiusura dello stabilimento”.
ORA GOVERNO RISOLVA IL DISASTRO
“Ora il Governo e il Parlamento si devono assumere le loro responsabilità e devono porre rimedio a un disastro che loro stessi hanno causato e che si sta per abbattere su tutti gli stabilimenti italiani dell’ex Ilva, non solo a Taranto” ha detto Palombella. “Nessuna azienda – continua il leader Uilm – è in grado di produrre in un contesto difficile, in un clima pesante avendo tutti contro, dal Governo alla Regione fino al Comune di Taranto”. “Ora – prosegue – si apre una fase drammatica dall’esito incerto con il forte rischio di bloccare il risanamento ambientale causando una bomba ecologica, oltre alla perdita di 20mila posti di lavoro, tra diretti e indotto”. “Come già successo – sottolinea – l’Italia perde un pezzo importante della produzione manifatturiera, la stessa siderurgia che il governo dichiarava essere essenziale per il nostro Paese. Ancora una volta la politica e le istituzioni hanno seguito un’onda populista e non gli interessi reali del Paese, dei lavoratori e dei cittadini”. “Faccio un appello – conclude – al Presidente Conte e a tutto il Governo: fare di tutto per evitare conflitto sociale presente oggi a Taranto. Servono urgentemente misure concrete per evitare catastrofe ambientale, occupazionale e industriale. Il tempo è scaduto”.