ArcelorMittal e la minaccia della chiusura

È stata una settimana parecchio calda per la siderurgia italiana, e non a causa del clima. Dopo l’approvazione del Decreto Crescita e quindi la modifica dell’immunità penale per i vertici di ArcelorMittal, che ha scatenato le ire dell’acquirente con tanto di minacce di chiusura dello stabilimento tarantino, giovedì 4 luglio si sono incontrati governo e azienda al ministero dello Sviluppo economico per un chiarimento. Le parti hanno tuttavia deciso di non lasciare dichiarazioni a margine, anche se pare che si stia lavorando per trovare presto un’intesa che metta nelle condizioni Mittal di proseguire gli interventi per il risanamento ambientale, così come da accordi presi poco meno di un anno fa.
Sulla vicenda dell’immunità era intervenuto anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ritenendola “un’eccezione eliminata dal Parlamento che è sovrano, non si può pensare di gestire un’azienda a condizione dell’immunità penale, mi sembra un privilegio, confido che gli investitori non si siano affidati a un business plan basato su questa regoletta”.

INCONTRO CON I SINDACATI
Sulla questione si era già espresso il Segretario generale Uilm, Rocco Palombella: “Il piano ambientale del 2017, che prevedeva norme stringenti per quanto riguarda i livelli di emissione, e il limite produttivo fissato a un massimo di 6 milioni di tonnellate annue sono stati approvati dal ministero dell’Ambiente. A questi si è aggiunto un addendum ancora più stringente richiesto dalle parti sociali, dal comune di Taranto e dalla regione Puglia che serviva proprio a garantire il rispetto della salute dei cittadini e dei lavoratori fino al completamento del piano Ambientale”. Ecco perché per Palombella risulta inspiegabile la decisione del governo di voler mettere ancora una volta il coltello nella piaga senza che ci sia di fatto una reale necessità.

CASSA INTEGRAZIONE
Un altro tema che preoccupa i sindacati e che, nonostante i tentativi per scongiurarlo, è andato avanti riguarda la richiesta da parte di ArcelorMittal della cassa integrazione ordinaria per circa 1.400 lavoratori di Taranto. La durata è di 13 settimane e la ragione è la crisi del mercato dell’acciaio.
Il 1° luglio si è tenuto un incontro a Taranto tra azienda e sindacati locali per discutere di questo argomento. Ancora una volta però l’interlocuzione si è arenata di fronte alla fermezza dell’azienda di voler proseguire su questa strada.
Fim Fiom Uilm avevano chiesto uno slittamento dell’avvio della procedura, in attesa dell’incontro ministeriale previsto con le organizzazioni sindacali nazionali il prossimo 9 luglio, provando a entrare nel merito sull’integrazione salariale, la rotazione del personale e la gestione delle ferie programmate. Tuttavia ArcelorMittal ha deciso di fatto di voler proseguire unilateralmente con l’avvio della procedura della cassa integrazione ordinaria.
Dura, quindi, la reazione di Fim Fiom Uilm che hanno proclamato otto ore di sciopero su tre turni per la giornata del 4 luglio e la volontà di percorrere tutte le strade possibili per evitare questa strada, anche attraverso il ricorso agli enti competenti. Lo sciopero ha avuto una grande adesione, circa l’80%. Si sono fermati diversi impianti tra altoforni, acciaierie, laminatoi, servizi, manutenzione, ma non solo. Hanno partecipato numerosi anche i lavoratori delle ditte in appalto. “La giornata di protesta è stata importante non solo per evitare la cassa integrazione, ma per evidenziare come i lavoratori siano preoccupati per il loro destino e per gli investimenti del piano ambientale che dovrebbero garantire il futuro dello stabilimento e della città di Taranto”, ha commentato Palombella.

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