Ilva, la storia infinita

Dopo la decisione della cassa integrazione ordinaria per 1.400 lavoratori di Taranto, che si aggiungono ai 1.700 già in Amministrazione Straordinaria, il 19 giungo è arrivata un’altra doccia fredda: ArcelorMittal ha annunciato che qualora venisse approvato nel Decreto Crescita, entro il 29 giugno, la norma che cancella le tutele legali fino al completamento del piano ambientale, non ci sarebbero le condizioni per continuare a gestire lo stabilimento. Né tantomeno potrebbero farlo altri.
“Senza voler entrare nel merito delle decisioni che il governo starebbe per assumere – ha commentato il Segretario generale Uilm, Rocco Palombella – ci sembra l’ennesima offesa nei confronti di cittadini e lavoratori. Il piano ambientale del 2017, che prevedeva norme stringenti per quanto riguarda i livelli di emissione, e il limite produttivo fissato a un massimo di 6 milioni di tonnellate annue sono stati approvati dal ministero dell’Ambiente. A questi si è aggiunto un addendum ancora più stringente richiesto dalle parti sociali, dal comune di Taranto e dalla regione Puglia che serviva proprio a garantire il rispetto della salute dei cittadini e dei lavoratori fino al completamento del piano ambientale”.
Il leader della Uilm ha quindi invitato ArcelorMittal a non assumere decisioni dannose che vanificherebbero tutti gli sforzi economici e finanziari fin qui realizzati e il governo a prendere invece decisioni coerenti rispetto agli impegni del piano ambientale 2017 e all’accordo sindacale del 6 settembre 2018.

INACCETTABILE LA CASSA INTEGRAZIONE
Come già ricordato, questo annuncio si somma alla decisione dell’azienda di mettere in cassa integrazione ordinaria 1.400 lavoratori tarantini per motivi di mercato. “Una decisione inaccettabile”, ha tuonato Palombella a margine dell’incontro con ArcelorMittal che si è tenuto il 10 giugno scorso nella sede di  Confindustria, a Roma.
“Il patto tra produttori europei – ha aggiunto – di tagliare la produzione per arginare la presenza di acciaio straniero e quello di difenderne il prezzo non trova giustificazione in Italia. Infatti, dall’acquisizione a oggi lo stabilimento ex Ilva di Taranto sta producendo 1 milione di tonnellate in meno rispetto al piano industriale stabilito. Di fatto, non essendoci stata alcuna risalita produttiva – continua – le condizioni non sono cambiate per giustificare una riduzione di personale. Non c’è alcuna coerenza tra gli impianti che si vogliono rallentare (treno nastri 1, colata continua 5 e un impianto del laminatoio a freddo per il solo mese di agosto) e le 1.400 persone in cassa integrazione”.

ALTRE MOTIVAZIONI
Cosa è cambiato visto che questa è una situazione che permane da oltre tre mesi? “Non vorremmo – ha detto ancora Palombella – che dietro ci fossero altre motivazioni, al momento non note, che a pochi mesi dall’acquisizione potrebbero mettere in discussione gli impegni assunti nel contratto con governo e organizzazioni sindacali; in particolare gli impegni di bonifica, di risanamento ambientale e di salvaguardia dei livelli occupazionali, compresi i lavoratori attualmente in amministrazione straordinaria. Tra l’altro tutto questo ha generato nella comunità jonica grande preoccupazione sul futuro”.

PROVVEDIMENTO UNILATERALE
L’incontro a Confindustria non è stato in grado purtroppo di chiarire le ragioni legate a questo percorso che l’azienda vorrebbe intraprendere. La Uilm ha ribadito la sua contrarietà e nonostante la richiesta di verificare ulteriormente come scongiurare un provvedimento unilaterale che metterebbe in discussione quanto costruito faticosamente in questi mesi in termini di relazioni industriali e sociali, l’incontro a Taranto del giorno successivo non ha prodotto i risultati sperati. Le organizzazioni sindacali hanno quindi rigettato con forza il provvedimento e chiesto un incontro al ministero dello Sviluppo economico per affrontare la questione in sede istituzionale. 

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