La battaglia per salvare la Whirlpool di Napoli

di Gianluca Ficco

Venerdì 31 maggio Whirlpool ha annunciato la decisione di chiudere lo storico stabilimento di lavatrici di Napoli, dove lavorano 450 dipendenti. Che a Napoli e più in generale negli stabilimenti italiani ci fossero gravi difficoltà produttive era noto, anzi evidente da tempo, ma pochi mesi or sono, il 25 ottobre 2018, era stato firmato un accordo al ministero dello Sviluppo economico che quelle difficoltà doveva provare a superarle con nuove allocazioni. Più in particolare Napoli doveva diventare il polo unico per le lavatrici di alta gamma, beneficiando quindi di prodotti attualmente montati a Comunanza (Ascoli), a sua volta compensata con l’arrivo di lava asciuga dall’estero.

MOBILITAZIONE IMMEDIATA
La reazione è stata forte, non solo a Napoli ma in tutte le fabbriche italiane, dove è partita una immediata mobilitazione con l’obiettivo di chiedere alla multinazionale americana il rispetto degli impegni precedentemente assunti. Naturalmente abbiamo chiamato in causa anche il governo, che pochi giorni dopo nella persona del ministro Luigi Di Maio ha convocato un tavolo e ha minacciato di chiedere la restituzione di alcuni benefici pubblici in passato ricevuti da Whirlpool. L’atteggiamento aziendale purtroppo per il momento non è mutato, poiché la sola leva della possibile restituzione degli incentivi pubblici difficilmente sarà sufficiente, ma almeno è diventato evidente che nella battaglia il sindacato non sarà lasciato solo.
La direzione aziendale si è limitata a usare eufemismi e imbellettamenti, parlando di ‘riconversione’, anziché di chiusura, e dichiarandosi intenzionata a cercare non meglio identificate ‘soluzioni’. Ma il Ministro, su nostra sollecitazione, si è riservato anche di contattare direttamente il management americano, speriamo per esercitare adeguate pressioni.

GIORNI DECISIVI
I prossimi giorni saranno decisivi: si teme non solo per il destino di centinaia di famiglie in Campania, ma più in generale per un possibile disimpegno dall’Italia, tanto più che ad esempio a Siena si stenta a intraprendere le azioni commerciali di rilancio promesse, e sia in Lombardia sia nelle Marche sono in atto azioni di taglio delle funzioni di staff.
Infine, è chiaro che questa vicenda può costituire un precedente assai pericoloso, che dobbiamo provare a scongiurare con tutte le nostre forze. Ne va della credibilità delle Istituzioni italiane e degli accordi firmati al loro cospetto.
Si percepiscono di nuovo i venti di una crisi che non è mai davvero finita, il pericolo di un’ulteriore forte ridimensionamento dell’industria italiana e di una stretta internazionale sul nostro Paese. Il sindacato da solo non può salvare le imprese e l’economia nazionale, ma di certo noi dobbiamo fare la nostra parte e chiedere a tutti i soggetti coinvolti di fare altrettanto.

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