Salvare la Bosch di Bari dalla crisi del diesel

di Gianluca Ficco

Il futuro dello stabilimento Bosch di Bari, dove lavorano duemila persone, dipende in gran parte dalle scelte politiche che si faranno in Italia e in Europa nel settore automotive, nonché dalla capacità nell’arco dei prossimi due anni di diversificare la produzione, oggi in massima parte legata a componenti per i motori diesel. La produzione diesel continua difatti a calare velocemente a causa delle scelte politiche che lo stanno disincentivando oltre misura. La situazione di Bari è quindi esemplificativa di una dinamica più generale: la frettolosa corsa della politica europea e italiana verso la elettrificazione favorisce l’industria asiatica e criminalizza ingiustificatamente la motorizzazione diesel, che attualmente garantisce emissioni di CO² addirittura del 20% inferiori a quelle delle altre propulsioni, se si tiene in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto.

SOLIDARIETÀ INTRA GRUPPO
Lo sforzo di sostenere lo stabilimento di Bari anche attraverso l’allocazione di nuove produzioni non legate al diesel, nell’ambito di una solidarietà intra gruppo, fino a ora non ha dato nel confronto con la direzione aziendale i risultati sperati: dopo quasi un anno di discussione si è giunti difatti a trasferire solo un numero marginale di produzioni dal sito di Nonantola (Modena), oberato di ordinazioni, a quello di Bari. La cosa è positiva sul piano del principio, ma sul piano quantitativo è poco rilevante, poiché almeno nell’immediato genererà appena trenta postazioni di lavoro aggiuntive.

PROGETTI ADEGUATI
Per questo motivo chiediamo a Bosch di individuare progetti adeguati per dimensione e di portare all’interno lavorazioni che attualmente sono svolte da terzisti. Contestualmente alle Istituzioni chiediamo di dare continuità al tavolo ministeriale insediato il 26 marzo su sollecitazione sindacale, al duplice fine di pressare e di supportare la multinazionale attraverso un Accordo di Programma cui partecipino sia il MiSe sia la Regione Puglia.

RILANCIARE LO STABILIMENTO
Per un rilancio dello stabilimento di Bari occorrono realisticamente molti anni, nonché ingenti investimenti, ma, a causa della diminuzione dei volumi, gli ammortizzatori sociali corrono il rischio di esaurirsi anche prima del 2022, data traguardata in teoria da un precedente e sofferto accordo sottoscritto il 12 ottobre 2017 anche con la Regione Puglia, che ha escluso la pretesa aziendale di imporre una sorta di part time collettivo e che invece ha previsto l’azzeramento dell’attuale esubero strutturale attraverso la diversificazione produttiva. Si tratta in pratica di una lotta contro il tempo. Basti pensare che fino a ottobre 2020 abbiamo a disposizione solo 60 giornate di cassa integrazione.

CASO EMBLEMATICO
Il caso della Bosch di Bari è emblematico, poiché costringe l’Italia a una scelta: abbandonare l’industria al suo destino, per poi piangere dinanzi alle chiusure e alla recessione, oppure fare una politica industriale simile a quella che fanno le altre nazioni, per favorire la riconversione verso le nuove tecnologie. Spesso si parla di sviluppo sostenibile o di legittima difesa degli interessi nazionali: una politica industriale efficace è il presupposto per entrambe queste politiche. Del resto il problema riguarda tutta l’industria del diesel, che oggi in Italia offre occupazione in modo diretto a 50mila lavoratori e in modo indiretto a circa 150mila. Non molto dissimile è ad esempio il caso della FMA di Avellino, per cui c’è un’interlocuzione aperta con FCA, con l’obiettivo di concretizzare l’impegno preso dai vertici aziendali, durante la presentazione del piano industriale di novembre 2018 al Lingotto, a varare un piano di rilancio dello stabilimento irpino.

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