Un dolore per tutt*, l’iniziativa della Uil Toscana contro la violenza sulle donne

di Ilaria Landi

Si è svolta venerdì 15 novembre presso l’Auditorium Maccarrone di Pisa l’iniziativa del Coordinamento Pari Opportunità UIL Toscana dal titolo Un Dolore di Tutt* al quale ha preso parte anche la Coordinatrice Nazionale UIL Ivana Veronese. Molto importante e significativa è stata la testimonianza della signora Maria Grazia Forli, madre di Vanessa Simonini, barbaramente uccisa a 20 anni da quello che credeva un “amico di fiducia”. Ospiti anche le istituzioni con l’assessore del comune di Pisa Gabriella Porcaro e l’Assessora Regionale per le pari opportunità Alessandra Nardini, la quale ha ribadito come la violenza affondi le radici nella cultura patriarcale, la matrice di ogni squilibrio in ogni ambiente e nei diversi indici di gravità in cui si manifesta. Ha ricordato l’importanza dell’educazione al rispetto a partire dalle scuole e gli strumenti istituzionali, le Reti di supporto come il Progetto toscano del Codice Rosa e gli investimenti stanziati per reinserire professionalmente le vittime di violenza. Nel mese in cui ricorre la giornata contro la violenza sulle donne, questa iniziativa ha registrato una grandissima partecipazione e un consistente numero di interventi, a dimostrazione che la nostra Organizzazione sente e vive questo problema quotidianamente, e non vuole certamente stigmatizzarlo solamente ad una ricorrenza.

NON NUMERI, MA NOMI, VOLTI E STORIE DI VITE SPEZZATE
Ha aperto i lavori la Segretaria Menconi con un video che ha tenuto la sala in silenzio per troppi, lunghi minuti. Non scorrevano i numeri distratti che spesso ci arrivano dalla cronaca, ma i volti, i nomi, le età , le storie e lo strazio della modalità con cui queste donne sono state strappate alla vita. Un filmato che ha evidenziato come non ci sia differenza di età, estrazione o contesto societario per le vittime di femminicidio, mentre tragicamente troppo spesso il punto comune è la matrice omicida che si trova all’interno delle mura domestiche. Sono stati ricordati gli “orfani speciali”, quello che sono stati costretti a subire negli anni, prima che l’apice della violenza desse sfogo al gesto più estremo, facendo sprofondare la loro innocenza in un baratro di terrore. Traumi e fratture che probabilmente non li abbandoneranno mai.
Il Segretario Paolo Fantappiè ha ricordato la drammaticità dei femminicidi che in Toscana registrano la media di una donna uccisa ogni tre giorni; dal 2006 al 2022 in Toscana sono state 132 le vittime di femminicidio, mentre l’osservatorio delle vittime ne evidenzia altre 17 dal 2023 a oggi. Il segretario ha ricordato l’importanza dei centri di ascolto messi a disposizione della UIL, come quello “Mobbing Stalking” che a breve verrà inaugurato presso la UIL Toscana con il supporto di professionisti Medici.
Negli ultimi anni abbiamo avuto una consistente produzione legislativa della materia, l’intervento del Questore, il Codice Rosso etc; un percorso di deterrenza forte che però, come viene dimostrato dai numeri, non è sufficiente nella sua parte repressiva. Occorre quindi agire sulla prevenzione di una società che troppo spesso dimostra di aver smarrito totalmente i propri valori, anche con violenze che si registrano già dalla giovanissima età, per questo è fondamentale incidere sul sistema educativo a partire dalle scuole. Il segretario ha esposto il progetto della UIL Toscana che entrerà nelle aule per sensibilizzare i giovani su due argomenti sostanziali: la sicurezza sul lavoro e la cultura del rispetto di genere. Come sindacato siamo all’interno dei luoghi di lavoro e nella comunità sociale, per cui abbiamo una responsabilità su questo.

L’IMPORTANZA DELL’AZIONE
Di fronte a tutto questo, il nostro interrogativo come Sindacato e come Coordinamento, è “Che cosa possiamo fare operativamente? Come possiamo fare prevenzione e contrasto su questo?”. Spesso l’argomento della violenza, come quello della sicurezza sul lavoro, viene gravemente sottovalutato, perché magari non vissuto da vicino o fino a quando tragicamente non sfocia nell’irreversibile. La violenza e la cultura degenere che la alimenta, si può nascondere in ogni contesto di vita, dove lo squilibrio dominante del rapporto è causato proprio dallo stereotipo legato alla figura della donna.
Certo, non è per tutti così, ma il nostro compito è quello di porre attenzione e dare voce proprio a coloro che sono costrette al silenzio. È fondamentale l’attenzione e la sensibilizzazione su qualunque forma di violenza e come Uilm Uil dobbiamo essere pronti a fare da veicolo per tutte le Reti di supporto, centri Antiviolenza per le vittime e conoscere anche tutti quegli strumenti contrattuali e istituzionali, necessari per reinserire le vittime in un percorso professionale e quindi di indipendenza economica. Aiutarle a ripartire.
Nel mio intervento ho ricordato che anche nel nostro Contratto Nazionale Metalmeccanici abbiamo aperto nel precedente rinnovo un capitolo importante a sostegno delle vittime di violenza ed anche in questa fase di rinnovo stiamo cercando di estendere queste tutele. L’ importanza del progetto del Coordinamento Nazionale GENeriamo Cultura in collaborazione con le Associazioni datoriali che anche in questi giorni stiamo portando in tutte le fabbriche attraverso il materiale informativo, le assemblee , i Consigli di Fabbrica. Tutto questo chiaramente deve andare di pari passo con un’ educazione affettiva che trova il primo approdo nelle scuole, a politiche attive e riforme legislative che guardano nella stessa direzione: la tutela della vittima. Basta sentire che è la vittima di stupro a dover dimostrare che non c ‘era consenso e non il contrario; basta subire un interrogatorio in tribunale dove si chiede quanto tempo è passato prima della reazione, il colore dell’intimo indossato e se “si potevano stringere di più le gambe”. Una violenza nella violenza. Basta sentire che questi assassini hanno sconti sulla pena con la compiacenza della legge o di perizie psichiatriche che ne nascondono la volontà di uccidere.

L’EDUCAZIONE PRIMA ARMA CONTRO LA VIOLENZA
La Segreteria UIL e coordinatrice Nazionale ha ricordato come la mamma di Vanessa ricordi un’altra madre, la signora Emma Marrazzo, madre di Luana, morta a 22 anni sul lavoro, stritolata da un macchinario a cui era stato tolto il presidio di sicurezza per velocizzare un profitto macchiato di sangue. Stragi diverse ma che chiedono la stessa giustizia e una legislazione certa, più severa, per questo il grido di queste madri diventa uno solo.
Ha ricordato come la gravità della violenza oggi travolga anche ragazzini giovanissimi, a 13 anni sentiamo “bambini” che violentano coetanee in gruppo e si divertono a filmare. Un degrado che si può contrastare a partire dall’insegnamento, ma l’Italia è uno dei pochissimi paesi rimasti a non aver riconosciuta la materia didattica dell’ “educazione affettiva e sessuale “, perché sempre dall’ educazione al rispetto si parte. Se oggi da un’ indagine Istat si rileva che per circa il 39% degli uomini, una donna sarebbe in grado di sottrarsi a una violenza fisica, è chiaro che il problema è culturale. Ci sono molte forme di violenza e oltre quella fisica, anche quella verbale e psicologica sono devastanti: le denunce ai nostri sportelli sono aumentate moltissimo negli ultimi anni, ma in questa gravità ci conforta il fatto che, rispetto a prima, almeno le Donne riescono a denunciare di piu’ perché possono contare sulle Reti di supporto.
Come UIL è fondamentale essere attivi sul tema, incrementando la conoscenza nei territori degli strumenti contrattuali, delle risorse pubbliche e delle leggi a tutela delle vittime, per questo a livello nazionale si stanno predisponendo dei Corsi di Formazione specifici.

IL RACCONTO DELLA MAMMA DI VANESSA, UCCISA A 20 ANNI
Parla in modo calmo la mamma di Vanessa, sorride quando racconta di quanto era bella quella sua terza figlia femmina e di come sia arrivata portando così tanto amore e felicità nella famiglia, tanto da temere che le sorelle più grandi , per non separarsene, la togliessero dalla culla per portarsela a scuola. Era una ragazza felice e piena di vita, ma quel mondo che tanto sognava non ha fatto in tempo a conoscerlo.
La madre ci racconta una storia che fa rabbrividire, perché come spesso capita in questi casi ha riscontri molto comuni nella vita semplice che conduciamo tutti i giorni.
Vanessa, concluse le scuole superiori, sta cercando la sua prima occupazione. Vive a Gallicano (Lucca) e da tempo, nel giro delle sue amicizie ha conosciuto un ragazzo più grande che di anni ne ha 36: si chiama Simone Baroncini, da tutti soprannominato “il Pisa”, perché originario di quella città e si recava a Lucca per lavoro. Si frequentano in comitiva, ma talvolta il ragazzo va anche a casa di Vanessa, si mostra un ragazzo gentile, affabile tanto da conquistare la fiducia in primis della madre, come lei stessa racconta.
Probabilmente si era innamorato di Vanessa, senza però essere corrisposto, ma quando anche in casa hanno affrontato l’argomento con lui, ha minimizzato dicendo che il suo affetto per Vanessa era come quello di un fratello maggiore, che lui le stava vicino per proteggerla dagli altri ragazzi perché vista la sua bellezza, ne era circondata.
Nel racconto della madre, traspare che verso questa figura non c’è stato mai, neanche per un attimo, il minimo sospetto. Non solo, la madre ha ricordato come la sera stessa della scomparsa, nell’attesa di conoscere gli eventi, cercasse di rincuorarsi proprio pensando che sua figlia era con quell’amico più grande che l’avrebbe protetta in ogni circostanza. Lo ripeteva anche alle forze dell’ordine che stavano invece apprendendo quanto era successo. Quella sera, il 7 dicembre 2009, Vanessa deve andare a una festa e accetta un passaggio dal Pisa, anche perché tutta la comitiva programmava per il giorno successivo una gita a Roma e pensava che quel viaggio fosse l’occasione per parlare con lui dei dettagli.
Sale sulla macchina di Simone, ma alla festa non arriverà mai. Sarà la sua amica Tania, dalla quale sarebbe dovuta arrivare pochi minuti dopo, che a distanza di un’ora di ritardo chiama la madre per chiedere informazioni di Vanessa, dicendo che né lei né Simone si sono mai presentati e che soprattutto, entrambi hanno il cellulare spento.
La madre ha raccontato come immediatamente, l’unica angosciante probabilità a cui tutti hanno pensato è stata quella dell’incidente stradale e infatti iniziano a cercarli. Vengono allertate anche le forze dell’ordine di Gallicano in cerca di un’auto con due ragazzi finita fuori strada. La madre ci racconta, con una lucidità che non è scesa a patti con quel dolore che ogni volta si rinnova, di come siano andate le cose quella sera. Il Pisa dopo averla fatta salire ha deviato il percorso verso una strada di campagna e tentato un approccio pesante con Vanessa che lei assolutamente non si aspettava e naturalmente lo rifiuta, accorgendosi che quello che ha davanti, non è l’amico ” buono “che ha conosciuto per tutto quel tempo e tenta di fuggire, ma non riesce.
Dalla ricostruzione e ammissione successiva, lui le strappa subito il cellulare di mano, quello che Vanessa diceva sempre alla madre essere la sua “arma da difesa”. Ma questa volta non riesce a usarlo.
Ha tentato di difendersi in tutti i modi con graffi, pugni fin quando ha provato ad uscire aprendo lo sportello, ma è stata afferrata per il collo. È la madre a raccontare a tutti noi che non solo il Pisa ha strangolato la sua bimba, ma le ha anche spezzato l’osso del collo.
Dopo essersi accorto di quello che aveva fatto, in preda al panico, si dirige con la macchina verso la zona del Serchio e adagia il corpo di Vanessa sul greto del fiume. Da qui parte la sceneggiata, confusa e in preda al panico: verso l’una e venti chiama i carabinieri, si fa trovare scalzo e racconta in modo goffo di essere stato aggredito da tre tizi incappucciati, che sono i loro i responsabili, ma i segni che ha sul viso e il suo racconto confusionario non sfuggono certo ai carabinieri.
La confessione: alla fine l’uomo crolla e ammette di aver ucciso Vanessa ma che non voleva farlo, di aver perso la testa dopo il suo rifiuto e che non credeva di averla uccisa, ma che fosse solo svenuta. C’è un particolare che la signora Maria Grazia racconta a seguito della confessione: prima di morire Vanessa avrebbe detto al suo assassino “ma cosa stai facendo? Io ti amo…”. Era l’ultima carta di disperazione con la quale ha provato a salvarsi la vita, ma lui ormai aveva deciso che non sarebbe stata più di nessuno.

ME L’HANNO UCCISA UN’ALTRA VOLTA
Simone Baroncini avrebbe dovuto avere l’ergastolo in primo grado, ma grazie al rito abbreviato viene condannato a 30 anni per omicidio volontario. Ma il 13 giugno 2012 la Corte di Appello di Firenze riduce la pena a 16 anni, riconoscendo alcune attenuanti come quella di aver ‘posto il giacchetto sopra il corpo della ragazza’, che il giudice ha interpretato come “atto di pietà”. Quindi il rito abbreviato anche in questa circostanza da reoconfesso, gli porta lo sconto di un terzo della pena che viene così computato su una base di 24 anni e non di 30. Questo nonostante la perizia psichiatrica chiesta dall’avvocato difensore all’inizio del processo, abbia confermato la lucida volontà di uccidere di Baroncini e come abbia scelto di non fermarsi quando era ancora in tempo. Una sentenza che si trascina la vergogna dell’ingiustizia, uno scempio alla memoria che la madre non si riesce ad accettare e quando tramite la Procura Generale fa ricorso, la Cassazione in risposta nel 2013 conferma la sentenza di condanna a sedici anni. “Me l’hanno ammazzata un’altra volta”.
Da allora la signora Maria Grazia porta avanti attraverso legali e associazioni, una battaglia per la certezza della pena nei casi di omicidio volontario, presentando a Roma una proposta di legge. La strada è lunghissima ed estremamente difficile, ma con un po’ di orgoglio sottolinea il piccolo passo fatto con la legge 33/2019, in cui sono stati posti limiti alla disposizione del rito abbreviato, che dall’entrata in vigore, vieta il ricorso al rito abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, come ad esempio il reato di omicidio aggravato o quello di sequestro di persona aggravato.
In questa battaglia per la Giustizia, siamo accanto a questa madre e a tutti i figli, i familiari a cui è stata così brutalmente strappata via una persona cara. Perché chi si macchia di uno scempio così grave contro la vita possa finalmente pagare senza sconti.

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