di Ilaria Landi
*leggi la prima parte
Tra i casi arrivati alla cronaca, rammento quello quella della lavoratrice di Treviso che dal 2017 al 2023 ha subito molestie in azienda dal proprio datore di lavoro oggi 68enne: sei anni di inferno che questa madre single ha dovuto subire perché non poteva permettersi di perdere quel lavoro. Ha sopportato ogni genere di bestialità, nella frustrazione ma anche con la speranza che prima o poi la situazione cambiasse, da richieste esplicite verbali a ricatti per avere un aumento: ‘’Vai a letto con tutti ma non con me. Vuoi venire in fiera, vuoi una promozione? Allora datti da fare”; veri e propri agguati sessuali, rincorse intorno al tavolo dentro l’ufficio con palpeggiamenti alle parti intime. Tutta questa oscenità intollerabile aveva portato la 40enne, nell’autunno del 2023, dal proprio medico che le aveva riscontrato un depressione causata dagli abusi che aveva subito sul posto di lavoro. Il referto che le dava una lunga malattia parlava di proprio di una “sindrome ansioso depressiva causata da mobbing e molestie sessuali ‘’. Così era stata la stessa Asl a far scattare il codice rosso, da cui è conseguita una denuncia alla Procura della Repubblica di Treviso che ha incastrato il datore di lavoro. Tutti dettagli che sono emersi nell’ultima udienza del luglio scorso e che ci auguriamo possano portare ad una condanna esemplare di questo soggetto che chiaramente, non ha risparmiato dalle proprie attenzioni malate , neanche altre tre dipendenti che adesso riescono a parlare.
L’ esistenza di una rete di supporto e del non sentirsi sole, puo’ fare la differenza.
Un’altra vicenda che mi preme richiamare ha avuto inizio nel 2022 e ha visto vittima un’altra donna nella provincia di Grosseto, che dal presidente dell’Associazione presso cui lavorava ha avuto espliciti inviti ad avere rapporti sessuali e commenti dello stesso tenore, rivolti anche al modo di vestirsi e di muoversi. Poi ci sono state le “uscite” ritenute maschiliste: il rifiuto di accettare «che una donna potesse dargli degli ordini» e la domanda «te come donna dove pensi di arrivare?». E gli inviti simili – a sfondo sessuale – rivolte ad altre colleghe. Situazione insostenibile durata un anno e mezzo, fino a luglio 2023, quando la Donna si è rivolta al Tribunale del Lavoro per comportamenti discriminatori che le avevano compromesso la salute , fin tanto da condurla al Pronto Soccorso.
IL DECRETO
Adesso la causa civile si è conclusa: il giudice ha accolto le richieste dell’accusa. Secondo il decreto l’associazione – e cioè il datore di lavoro – deve appunto risarcire la vittima di 10mila euro, oltre alle spese legali. Non solo. L’autore delle molestie deve cessare per il futuro ulteriori comportamenti simili a quelli denunciati e accertati in quella sede. Nel frattempo aveva già rinunciato alle deleghe che lo portavano nella stessa sede della vittima. Tra le motivazioni che hanno disposto la quantificazione del danno – non patrimoniale – ci sono la durata delle molestie, il fatto che esse abbiano avuto un richiamo alla sfera sessuale. Molestie che non si sono mai tradotte in atti di prevaricazione fisica. Sono rimaste sul piano di volgarità e apprezzamenti sgraditi dalla vittima, che più volte – riportano le testimonianze ascoltate dal giudice – ha cercato di troncare sul nascere questi atteggiamenti. Per il giudice si tratta di comportamenti discriminatori. Ha applicato il Codice delle Pari Opportunità, secondo la direttiva comunitaria. Così la vicenda di Grosseto potrebbe fare scuola per questi casi: le molestie – sessuali e non – sono considerate come discriminazioni, al di là dell’accertamento di ripercussioni penalizzanti sull’organizzazione del lavoro, dal conferimento di turni alle mansioni svolte. E comprendono quei comportamenti indesiderati che portano a un clima intimidatorio, ostile, degradante o offensivo. E che ledono la dignità della persona. L’unica differenza rispetto alle discriminazioni è che non occorre verificare la presenza di un termine di comparazione, ossia il trattamento di maggiore favore riservato a un lavoratore dell’altro sesso. Ma questa assimilazione si traduce sia sul piano sanzionatorio sia su quello procedurale. Le molestie, una volta accertate dal giudice, legittimano l’iniziativa del molestato per ottenere il risarcimento. Di cui risponde il datore di lavoro. Stavolta lo decide il Codice civile: su di lui ricade l’obbligo di adottare tutte le misure per preservare non solo l’integrità fisica, ma anche la personalità morale del lavoratore.
(fonte Il Tirreno Grosseto, 16/05/24)
NON SOLO MOLESTIE, MA DISPARITA’: SEI LAUREATA? GUADAGNI MENO, MOLTO MENO…
Se è vero che in molti contesti socio lavorativi sono stati fatti importanti passi avanti sulla centralità del ruolo delle Donne, riconoscendo il principio di meritocrazia e non la logica della discriminanza sessuale, è altrettanto vero che l’analisi ad ampio spettro fatta dall’OCSE sull’istruzione nostro Paese, continua a restituirci nei numeri una grave disparità. In questo mese di settembre è uscito il Rapporto Ocse Education at a Glance 2024 dove emerge che in Italia, le giovani donne con una laurea guadagnano in media il 58% in meno del salario dei loro coetanei maschi: realtà che rappresenta il più grande divario retributivo di genere nell’area Ocse. Secondo lo studio, inoltre, le donne ottengono risultati scolastici migliori rispetto ai maschi e in molti casi il divario si sta ampliando ma il quadro è invertito quando entrano nel mercato del lavoro. Le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni, infatti, hanno meno probabilità di essere occupate rispetto agli uomini; il divario è generalmente più ampio per coloro che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, più ristretto per coloro che hanno conseguito una laurea. In Italia solo il 36% delle giovani donne che ha un titolo di studio conseguito al di sotto del livello di istruzione secondaria superiore, viene occupato, mentre la quota corrispondente per i giovani è del 72% ,e corrispondenti medie Ocse sono del 47% e del 72%.
(Rapporto OCSE, fonte Repubblica.)
C’è poi il capitolo Neet, giovani che non studiano e non lavorano, che sebbene abbia visto una riduzione della quota dal 2016 ad oggi, conferma il divario per i giovani sotto i 29 anni: le donne inattive sono al 31% mentre gli uomini al 20%. L’Italia spende per l’istruzione il 4% del Pil contro la media Ocse che sfiora il 5%. Nel nostro Paese l’età media dei docenti si conferma più alta che negli altri e anche se la quota di prof cinquantenni è leggermente diminuita negli ultimi anni, resta del 53 per cento, la media Ocse è del 37%. Quanto agli stipendi, sono cresciuti in termini nominali dell’8% per gli insegnanti con 15 anni di carriera, ma l’inflazione ha ridotto notevolmente il valore reale.
In questo scenario già molto complesso la UIL ha denunciato in un recente comunicato della Segreteria Confederale, come la scomparsa nella composizione della nuova Commissione europea della delega all’occupazione e agli affari sociali faccia retrocedere tutti gli importanti capitoli sociali portati avanti in questi anni e che sono richiamati anche in questo articolo.
Temi come l’equità, l’inclusione, la lotta contro la discriminazione, la conciliazione vita lavoro, il lavoro di cura, le tutele per le persone con disabilità, l’infanzia, le donne e i giovani, cadranno ancora sullo sfondo e anche la loro rivendicazione a livello nazionale sarà sempre più difficile.
Milioni di persone in stato di grave necessità subiranno un arretramento delle tutele se l’Europa non si attiverà per arginare le disuguaglianze che aumentano a dismisura in tutto il vecchio Continente. Per la nostra Organizzazione, questa decisione non può essere tollerata né tantomeno sottaciuta e chiediamo al nostro Governo di farsi garante dei diritti sociali tramite la sua qualificata rappresentanza in Commissione Europea.