Acciaierie d’Italia: ultimi atti di una tragedia, ma per salvare Taranto serve investire

È di martedì 25 giugno la sentenza della Corte Ue sull’ex Ilva. Il punto centrale della sentenza per il tribunale a Lussemburgo è che la nozione di “inquinamento” ai sensi della direttiva relativa alle emissioni industriali include i danni all’ambiente e alla salute umana. La previa valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria ex Ilva deve quindi costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio previsti da tale direttiva. E nel procedimento di riesame occorre considerare le sostanze inquinanti connesse all’attività dell’installazione, anche se non sono state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso. Ricorda la Corte che nel 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che l’acciaieria provocava significativi effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della zona. Varie misure per la riduzione del suo impatto sono state previste sin dal 2012, ma i termini stabiliti per la loro attuazione sono stati ripetutamente differiti. Numerosi abitanti della zona hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano contro il proseguimento dell’esercizio, per il rischio alla salute delle emissioni e affermando che l’installazione non è conforme ai requisiti della direttiva sulle emissioni industriali. Il Tribunale di Milano ha quindi adito la Corte di giustizia dell’Ue chiedendo se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all’acciaieria di Taranto al fine di garantirne la continuità siano in contrasto con la direttiva stessa. Per la Corte, tra l’altro, il gestore di un’installazione deve fornire, nella domanda di autorizzazione iniziale, “informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dalla sua installazione”. “Solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono non essere assoggettate al rispetto dei valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio”. “Contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal governo italiano – afferma la Corte – il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile. Occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti”.

GIUSTA DIREZIONE
“La sentenza della Corte europea va nella giusta direzione, quella che indichiamo da tempo per salvaguardare la salute dei cittadini e dei lavoratori di Taranto: la valutazione dell’impatto sanitario nelle autorizzazioni per la produzione di acciaio”. Così ha commentato la notizia il Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, che ha ricordato però come oggi siamo in una situazione differente e paradossale: da una parte c’è un piano ambientale quasi ultimato e dall’altra uno stabilimento quasi fermo, con una produzione al lumicino, migliaia di lavoratori in cassa integrazione, con più persone a casa che in fabbrica, e l’assenza di un piano industriale e di rilancio. “Ci troviamo in una condizione disastrosa – aggiunge – ma dal Governo e dai Commissari è arrivato solo l’aumento della cassa integrazione per 5.200 lavoratori, di cui 4.400 a Taranto, oltre la metà del totale dei dipendenti del Gruppo”.

ACCELERARE LA DECARBONIZZAZIONE
Palombella ha ribadito al Governo la necessità improrogabile di accelerare e velocizzare la decarbonizzazione, con la costruzione di forni elettrici: “Siamo stanchi delle promesse e delle passerelle, vogliamo fatti concreti, con progetti e scadenze ben precise. Siamo stanchi di slogan che diventano puri esercizi retorici in assenza di un piano industriale che esprima obiettivi certi con le relative fonti di finanziamento necessarie a traguardarli. Se davvero si vuole salvaguardare la salute e l’ambiente e rilanciare l’ex Ilva, ora è il momento di agire”.

NO ALLA CASSA INTEGRAZIONE
E sulla richiesta di cassa integrazione, il Leader Uilm ha detto: “Non si è mai vista una cassa integrazione non legata a un piano industriale, ma alla durata del commissariamento. È assurdo passare da una richiesta di cassa integrazione per 3mila persone a una richiesta per 5.200, quindi dal 30% a oltre il 50% dei lavoratori. A Taranto quasi il 60% dei lavoratori sarà in cassa integrazione, è intollerabile. Da febbraio aspettiamo la risalita produttiva, i mille interventi di manutenzione previsti con il rientro a lavoro di tutti i manutentori, gli investimenti e il riavvio degli impianti. Da tempo denunciamo una situazione che non è più sostenibile e il pericolo che corrono le migliaia di lavoratori e tutti gli stabilimenti. Cosa mette Il Governo sul mercato, la cassa integrazione o un piano industriale credibile e con i giusti investimenti?”.
La questione non è semplice ed è per questo che la Uilm ha chiesto con urgenza la riattivazione del tavolo presso la Presidenza del Consiglio e alla presenza della stessa Premier Meloni.

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