Acciaierie d’Italia in AS: l’amministrazione straordinaria, déjà vu ex Ilva

di Guglielmo Gambardella

Riviviamo in questi giorni la stessa incertezza del 2015 quando per la prima volta I’Ilva, strappata dal controllo della famiglia Riva, veniva posta sotto la gestione dell’Amministrazione Straordinaria. Stesso senso di insicurezza da parte dei lavoratori sul proprio futuro, stessi dubbi da parte dei commissari nell’assumere le scelte giuste per mantenere (almeno) in vita il gigante dell’acciaio di Taranto e stessa indecisione da parte del governo di turno nell’impegnarsi a tutti i costi nel provare a salvare 20mila posti di lavoro. Entrare oggi nello stabilimento ex Ilva di Taranto è come ritornare sul luogo di un delitto: un delitto industriale.

IL DESTINO DELL’EX ILVA
Per chi ha avuto a cuore il destino dell’Ilva, per chi ha vissuto, visto o conosciuto il periodo di massimo “splendore industriale” del centro siderurgico ionico, rientrare e constatare il declino di un’eccellenza dell’industria manufatturiera italiana determinato da una gestione cinica ed irresponsabile, innesca un sentimento di rabbia ed incredulità. Come è stato possibile lasciare che tutto questo accadesse? E’ stato possibile, a mio parere, per un fenomeno che oso definire di “follia collettiva” da parte di soggetti che hanno ricoperto ruoli di grande responsabilità politica-istituzionale, che non hanno voluto vigilare sulle gestioni che si sono susseguite, e che hanno assunto decisioni irresponsabili (ideologiche e populiste) e compiendo atti sbagliati inseguendo il risultato elettorale del momento e immaginando che chiudere fosse la soluzione migliore per risolvere il problema sociale ed ambientale.
La Uilm ha lottato affinché questo non avvenisse. La storia racconta delle nostre denunce e delle nostre battaglie.

LE NOSTRE BATTAGLIE
Fino a oggi siamo riusciti a tenerla ancora in vita, ma il pericolo di una chiusura non è scampato. Erano mesi che non era consentito l’ingresso in fabbrica a soggetti esterni, perfino ai legittimi proprietari: i rappresentati di Ilva in A.S. Tantomeno ai rappresentanti delle strutture sindacali. A maggior ragione a quelli della Uilm, l’organizzazione che ha più contestato, denunciato, osteggiato la disastrosa gestione Mittal già a partire da primi mesi dall’insediamento dei rappresentanti della multinazionale indiana con sede a Londra.
Solo lo scorso 26 febbraio è stato possibile per i sindacati accedere nuovamente in stabilimento su invito del commissario straordinario Giancarlo Quaranta nominato dall’attuale responsabile dell’ex dicastero dello sviluppo economico (oggi MiMIT), Adolfo Urso.
Prima di allora, con la gestione Morselli, l’ingresso agli esterni non era stato più consentito: non si poteva e non si doveva mostrare la “decadenza” prodotta da ArcelorMittal negli stabilimenti dell’ex Ilva ma raccontare invece, con la menzogna, una realtà “virtuale” utile solo per portare a termine l’obiettivo di fermata completa, già minacciata dal gruppo indiano nel 2019. Oggi il silenzio regna sovrano per le strade interne della più grande acciaieria d’Europa, una situazione irreale.

SILEZIO IRREALE
Fino a qualche anno fa i rumori degli impianti in marcia a pieno regime si sommavano a quelli del traffico di mezzi che circolavano a tutta velocità nelle strade interne dello stabilimento: sembravano rincorrere un mondo sempre più spinto all’estrema ricerca della massima produttività. Muletti, mezzi speciali, autoarticolati, auto di servizio ma soprattutto autobus che trasportavano operai e tecnici, sociali e delle ditte esterne, attraversavano da una parte all’altra uno stabilimento di oltre 15 milioni di metri quadrati.
Circa 20mila persone, tra diretti e indiretti, si avvicendavano quotidianamente arrivando a produrre fino a 10 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Si produceva ricchezza ma col sacrificio di migliaia di lavoratori che H24 e 7 giorni su 7 tenevano in vita ininterrottamente questo “gigante”. Una fabbrica auto sufficiente con mense, magazzini, officine, linee ferroviarie, attività portuali ed una flotta navale, una centrale elettrica, infermerie, servizi di pronta emergenza.    
Prima c’erano parchi di materie prime stracolmi di minerale e prodotti per la produzione della ghisa che veniva trasformata in acciaio e che, a sua volta, veniva trasformato in coils per essere lavorati attraverso ulteriori processi -anche negli stabilimenti di Genova e Novi Ligure – e trasformati in nastri, tubi, lamiere zincate e banda stagnata.  
Lo scorso anno, invece, le navi hanno scaricato materiali, gli impianti hanno trasformato acciaio, i mezzi hanno movimentato persone e cose, i treni si sono mossi solo per produrre poco meno di 3 milioni di tonnellate. Quest’anno, con il solo Afo4 in marcia e la previsione di rimessa in marcia di Afo2 nel mese di settembre, l’aspettativa è quella di raggiungere produzione addirittura inferiore al quella consuntivata nel 2023.

STANCHI DELLA CASSA INTEGRAZIONE
Fino a qualche anno fa i lavoratori impegnati nel ciclo continuo erano stanchi quando a volte, non potendo lasciare la propria postazione di lavoro per il mancato cambio, erano costretti a prolungare la prestazione fino a 16 ore continuative in un giorno; oggi i lavoratori sono stanchi di subire la cassa integrazione che non gli consente di effettuare nemmeno 16 ore di lavoro in un mese.
Oggi, girando per lo stabilimento si vedono per le strade auto di servizio ferme che sono state abbandonate per mancanza del carburante o cannibalizzate per recuperare i pezzi di ricambio per mantenere in marcia le altre. Stessa cosa è avvenuta per gli impianti. Ed ancora, spogliatoi decadenti, mense trascurate, scarsa pulizia; meglio fermarsi qui.
Oggi, la Uilm è chiamata a ricominciare e continua a essere il punto di riferimento di lavoratori e istituzioni interessate.
Nei futuri tavoli di confronto continueremo ad avanzare proposte e soluzioni che possano dare un futuro alla siderurgia conciliando lavoro e industria, ambiente e sicurezza per i lavoratori e per le cittadinanze. Continuiamo a credere che questo sia ancora possibile. Ci opporremo con tutte le nostre forze, come abbiamo fatto fino ad oggi, che Taranto diventi una nuova Bagnoli. Nel frattempo qualcosa si muove: le nostre richieste di ripristinare da subito condizioni dignitose di vivibilità in azienda avanzate dalla Uilm al direttore generale, Giuseppe Cavalli, ed al responsabile delle risorse umane, Claudio Picucci, all’incontro in Confindustria Roma lo scorso 7 maggio, sembrerebbero essere state accolte ed i primi interventi sono stati messi in campo in questi giorni. Si riaccende una speranza.

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