Legambiente e l’ex Ilva Taranto: la città al bivio tra la possibile (giusta) transizione ed il rischio di una nuova Bagnoli

di Guglielmo Gambardella

L’occasione del convegno organizzato da Legambiente, “L’acciaio oltre il carbone”, tenutosi a Taranto lo scorso 17 novembre è stata una importante occasione per fare il punto sulle prospettive dell’ex Ilva di Taranto da cui dipende il destino di tutti gli altri stabilimenti del gruppo siderurgico.
L’evento ha evidenziato tutte le questioni da affrontare per trovare soluzioni ai temi sanitari, ambientali ed industriali dell’acciaieria più grande d’Europa. Sono intervenuti tecnici, medici, sociologi, ricercatori, rappresentanti delle imprese ed esperti del settore siderurgico e sindacati che hanno offerto il loro contributo su come traghettare l’ultimo impianto italiano per la produzione di acciaio a ciclo integrale verso una decarbonizzazione che concili la tutela della salute, ambiente e lavoro.

NO ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE
Su quest’ultimo punto la Uilm ha ribadito, in modo netto, la propria posizione: decarbonizzazione non deve rappresentare “deindustrializzazione”. Se si commettesse l’errore di interrompere la produzione a Taranto in attesa di compiere la transizione verso un complicato modello produttivo elettrificato si potrebbe determinare un enorme problema di tenuta sociale con migliaia di famiglie ridotte a sopravvivere con il sussidio degli ammortizzatori per un periodo di tempo “indeterminabile”. In coerenza con quanto stabilito a livello europeo con gli altri sindacati aderenti ad IndustriAll Europe, la Uilm ha chiarito che la “giusta transizione” deve essere attuata trasformando l’economia in modo equo ed inclusivo garantendo i posti di lavoro: il percorso di transizione deve prevedere almeno un saldo di pareggio fra i posti di lavoro che si perderanno, per l’innovazione dei modelli organizzativi e le nuove tecnologie, e quelli che si creeranno.

TRANSIZIONE
In generale, la transizione è un processo articolato che richiede lunghi tempi di realizzazione, anche per escludere il pericolo di rendere le aziende poco competitive nel mercato globale con competitor, in particolare quelli asiatici, che producono con sovvenzioni statali ed irrispettosi di ambiente, salute e sicurezza. Nel corso del convegno è emersa una chiara realtà: la tecnologia esistente non consente, nell’immediato, una rivoluzione copernicana come la produzione dell’acciaio con forni alimentati ad idrogeno per raggiungere l’obiettivo di emissioni ad impatto “zero”. Al momento si confermano gli elevati costi energetici anche per l’utilizzo del preridotto. E quindi, in attesa che le attuali sperimentazioni nel mondo producano risultati soddisfacenti con le nuove tecnologie, a Taranto è necessario, per non interrompere le attività produttive ed il persistere di migliaia di lavoratori in cassa integrazione, l’immediato riavvio dell’Afo 5; un altoforno che utilizzi la migliore tecnologia, per un ridottissimo impatto ambientale, che consenta di non interrompere la produzione in attesa della realizzazione dei forni elettrici ed il graduale spegnimento degli altri altoforni che a breve arriveranno a fine ciclo di vita. Ricordiamo che il riavvio dell’altoforno di Afo 5, più grande d’Europa, era un impegno sottoscritto da ArcelorMittal con l’accordo del 6 settembre 2018 ma mai mantenuto, insieme a tanti altri.

BAGNOLI INSEGNA
Siamo tutti impegnati ad evitare una catastrofe industriale, occupazionale ed ambientale che è stata realizzata in un contesto analogo a quello di Taranto: Bagnoli.
A quelli che propongono un modello economico alternativo che superi l’industria per Taranto con la sua immediata chiusura, la Uilm ha ricordato che, dopo trent’anni dalla chiusura dell’ex Italsider di Napoli, il progetto di riqualificazione non è ancora iniziato. Si sono alternate amministrazioni, sub commissari e commissari straordinari, task force, costituite società ad hoc ma l’area industriale del quartiere napoletano resta ancora un deserto “inquinato”. Ad oggi è stato speso poco meno di un miliardo di euro ma dopo sequestri dell’area, ricorsi, blocchi e processi per truffa, gli oltre 2 milioni di metri quadrati non sono stati ancora bonificati; ricordiamo che l’area dell’ex Ilva di Taranto si estende per 15 milioni di metri quadri. L’ultimo progetto di riqualificazione di Bagnoli prevede la realizzazione di un parco naturale, un bosco “produttivo” con il recupero di coltivazioni autoctone ed un parco urbano; nell’ex Italsider, nel periodo di massima attività, hanno lavorato fino a 8mila lavoratori. Ma oggi, e chissà fino a quando, la triste realtà è che i cittadini non possono ritornare a fare il bagno al mare. Purtroppo, in questo Paese la politica ha dimostrato di essere capace di annunciare e non realizzare. Per tale motivo la Uilm difenderà a denti stretti le fabbriche perché, in Italia, “dove si chiude non si riapre”.

OCCASIONE PERSA
La Uilm ha ritenuto utile ed interessante il convegno organizzato da Legambiente che è riuscita a mettere intorno ad un tavolo tutti i soggetti capaci di suggerire, proporre e guardare il futuro di Taranto da punti diversi di osservazione. Purtroppo, ancora una volta, le istituzioni nazionali e locali, con la loro assenza al dibattito, hanno perso l’occasione di svolgere un ruolo responsabile facendosi carico delle istanze della società civile.

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