di Ilaria Landi
Poche settimane fa ho ricevuto una telefonata da una lavoratrice che non conoscevo personalmente, ma che ha avuto il mio contatto tramite un nostro delegato.
La stessa, che chiamerò Marta con un nome di fantasia, mi dice che è disperata perché ha un grave problema sul posto di lavoro. Mi racconta che circa cinque anni prima aveva denunciato il proprio compagno che le aveva fatto violenza in modo grave: nell’episodio erano intervenute due volanti per fermare l’aggressione a seguito della quale Marta è dovuta ricorrere alle cure dell’Ospedale.
Il compagno in questione apparteneva alle Forze dell’Ordine ed ovviamente, con una denuncia così grave, è stato immediatamente disarmato, destituito e su sentenza del Giudice trasferito presso altro Comune con il divieto di avvicinamento alla vittima.
Marta mi racconta che lui ha scontato la sua condanna, non in carcere ma con altre restrizioni, tra cui lavori socialmente utili. Quindi il procedimento penale a carico dell’ex compagno si è concluso e lei, in questi anni, ha ripreso pian piano la propria vita insieme ai figli e ai suoi affetti, facendo un lavoro part-time che rappresenta la sua unica fonte reddituale.
L’ex compagno, ormai in pensione, sembra nel tempo si sia dedicato al volontariato nel proprio comune ma in un episodio, che Marta ha ritenuto tutt’altro che casuale, lui aveva fatto in modo di presiedere proprio al seggio elettorale dove sapeva che lei sarebbe andata a votare. Marta, spaventatissima, ma non volendo rinunciare al diritto di voto, in modo intelligente ha allertato le Autorità del paese già a conoscenza del grave episodio di pochi anni prima e si è fatta accompagnare alle urne scortata da due agenti, senza però avviare alcuna segnalazione ufficiale in proposito.
La sua vita continua, come il suo lavoro nell’ Ente locale fin quando, pochi mesi fa, appena prende servizio le sembra di sprofondare nuovamente nell’incubo di anni prima: il suo ex compagno ha chiesto ed è stato inserito nell’organico come volontario proprio dall’Ente in cui Marta lavora; quindi, lei è costretta a vederlo ogni giorno.
Marta è disperata ed esterrefatta, come lo sono io quando mi racconta tutto questo, perché la Direzione è perfettamente al corrente della grave violenza che aveva occupato anche la cronaca locale per molto tempo, interessando una persona esposta oltretutto per il ruolo militare.
Lei mi racconta che psicologicamente è stata una devastazione, ha il terrore di questa persona ed ogni volta che la incrocia trema, si è perfino fatta male, tanta era l’agitazione nel saperlo vicino. Prima ancora di contattare me aveva parlato del proprio disagio con i suoi superiori, del terrore che il suo ex venisse a conoscenza dei suoi spostamenti con la pubblicazione nominativa dei turni, ma in tutta risposta le è stato detto che poiché al momento non ci sono condanne o divieti a carico di questa persona, non sussistono motivi per allontanarlo dall’attività di volontariato.
Per “venirle incontro” l’azienda avrebbe omesso il suo nome nella turnazione visibile a tutti ma naturalmente, per deduzione, si comprende quale sia il turno mancante coperto da Marta. Ecco che allora mi contatta chiedendomi se a livello sindacale potesse avere qualche aiuto. La lavoratrice è a casa in malattia per questo forte disturbo da stress e le consiglio di rimanerci e di farsi certificare dal medico l’esatto disturbo che la sta invalidando, perché non lo aveva mai voluto fare. A questo punto mi consulto con la nostra Coordinatrice nazionale Uilm e consigliamo a Marta di contattare il Centralino per l’assistenza antiviolenza, offrendomi di accompagnarla anche dal Questore di competenza.
Dopo qualche giorno, mi ricontatta ancora più avvilita e mi racconta che non solo non può fare niente lavorativamente, ma dal momento che questa persona ha pagato il suo debito con la giustizia e attualmente non la sta molestando o attuando pressioni di qualche tipo, lei deve stare ‘attenta’ perché potrebbe incorrere in una denuncia per diffamazione da parte del suo ex compagno. A questo punto Marta mi racconta che non può rimetterci ancora la sua salute mentale e non vede altra soluzione che licenziarsi dal posto di lavoro, provando a dimostrare una giusta causa, tanto più che aveva già avuto dei disguidi in passato.
Nei giorni scorsi l’ho invitata a prendersi un po’ di tempo per riflettere stando a casa, ritenendo una profonda ingiustizia la sua rinuncia al posto di lavoro non avendo ancora trovato una soluzione migliore. Le ho proposto a questo punto di contattare e andare insieme dal Questore per avere una tutela più immediata rispetto alla definizione di un nuovo percorso penale, in quanto questo ha l’autorità per procedere con eventuale ammonimento della persona qualora ne riscontrasse le circostanze che, in questo caso, sembrerebbero esserci tutte.
Ad oggi la vicenda resta aperta, Marta mi ha detto che non è sicura di voler intraprendere questa strada ma che ci avrebbe pensato e nel frattempo sta cercando una nuova occupazione, anche se la sua paura di essere perseguitata resta. Se una volta esaurito un procedimento penale dove non sia sentenziato il rischio di reiterazione del fatto, non c’è nessun elemento per tutelare la vittima, questa rischia di trovarsi il proprio aguzzino sul posto di lavoro e magari rischiare una tragedia. Si sta muovendo qualcosa rispetto alle proposte di legge in materia di contrasto e prevenzione alla violenza e credo che la discussione dovrebbe lasciare spazio per tutelare anche queste Donne che dopo il trauma sofferto, avrebbero tutto il diritto di ricostruirsi una vita in serenità.