Il 18 ottobre scorso, le Organizzazioni sindacali hanno appreso dell’avvenuta sigla di un protocollo di intesa fra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e l’Anfia. L’intesa contiene una serie di propositi di per sé interessanti, come l’aumento del numero delle vetture prodotte in Italia, alcune delle quali rispondono anche precise richieste sindacali, quali l’idea di sostenere le riconversioni produttive delle imprese della componentistica impegnate nella transizione all’elettrico o la definizione di specifici strumenti di tutela per i lavoratori in termini sia di riconversione professionale sia di ammortizzatori sociali. Tuttavia – scrivono congiuntamente in una nota Fim Fiom Uilm Fismic UglM AqcfR – non è accettabile per il sindacato non essere coinvolto soprattutto in una fase in cui, proprio le aziende della componentistica decidono per chiusure e licenziamenti.
CONFRONTO INESISTENTE
Non bastano i buoni propositi per dare alla filiera dell’automotive italiana un piano di politica industriale di settore all’altezza delle sfide come altri paesi europei hanno già adottato. Il punto centrale – scrivono – deve essere quello di un confronto con il sindacato per una strategia generale di rilancio del settore a partire dalla tutela dei siti produttivi e della occupazione.
Lo Stato italiano e il Mimit devono affrontare le questioni nodali che il sindacato dei metalmeccanici ha da tempo messo sul tavolo, attraendo nuovi investimenti internazionali sulle nuove tecnologie, stimolando i produttori finali nello sviluppo di volumi, modelli e occupazione, sostenendo le politiche di riconversione industriale e di riqualificazione.
EVOLUZIONI INDISPENSABILI
Secondo il sindacato, la scelta del Ministero di partire con un singolo protocollo con una singola associazione responsabilizza ancor di più lo stesso nel mettere in campo rapidamente le risorse di 6,2 miliardi di fondo pluriennale in investimenti per il settore finalizzati alla difesa dell’occupazione.
Fim Fiom Uilm Fismic UglM AqcfR chiedono pertanto al Mimit di riprendere il confronto per condividere le evoluzioni indispensabili che servono al settore e per irrobustire questi singoli atti con un piano più robusto, impegnativo ed adeguato.
Inoltre, per affrontare i problemi effettivi dell’automotive e della transizione all’elettrico, innanzitutto occorre dare risposte a vertenze già aperte presso il Ministero, quali Marelli, Bosch, Lear e la costituenda ACC di Termoli.
LE AZIENDE IN CRISI
Nel caso di Marelli, in particolare, c’è una discussione avviata per cercare di scongiurare la chiusura della fabbrica di Crevalcore, ma ancora nessuna soluzione è stata individuata, mentre nel caso di Bosch occorre riprendere il confronto in sede ministeriale per supportare una riconversione industriale indispensabile per lo stabilimento di Bari.
Nel caso di Termoli il sindacato sta chiedendo a più riprese di convocare un tavolo istituzionale, al fine di ottenere garanzie da ACC, joint venture fra Stellantis, Mercedes e Total impegnata nella costruzione di una fabbrica di batterie, sul completo riassorbimento dei lavoratori attualmente impiegati nella fabbrica Stellantis di motori. È paradossale, difatti, che ACC riceva centinaia di milioni di euro e in cambio il Governo non le chieda nemmeno le più elementari tutele per i lavoratori coinvolti.
Se il Ministero vuole andare oltre i proclami – conclude la nota – è arrivato il momento che si confronti sulle questioni concrete a cominciare da quelle in cui ha un effettivo e immediato potere di incidere.