Ex Ilva: è calato il silenzio sulla più grande acciaieria d’Europa

“La situazione in cui versa l’ex Ilva è ormai gravissima. Fino a che punto il governo è in grado di arrivare? Non abbiamo alcun tipo di risposta su nulla, tutte le iniziative sono state evase fino a questi giorni, in cui siamo arrivati addirittura a non parlarne. L’Ilva così è destinata a morire”. A denunciare lo stato di abbandono in cui versa la “madre di tutte le vertenze” è il leader della Uilm, Rocco Palombella. “Lo stabilimento perde sia dal punto di vista economico che occupazionale: non c’è alcuna possibilità che Acciaierie d’Italia possa raggiungere l’obiettivo produttivo del 2023 e abbiamo 3mila operai ancora in cassa integrazione”, riassume. “È una realtà annientata ma non se ne parla”, ribadisce amareggiato Palombella.

NIENTE ALIBI
Rispetto al recente intervento del governo, che con l’emendamento del ministro Fitto al dl infrazioni punta a chiudere la procedura di infrazione pendente sull’Ilva, trasferendo di fatto il piano di decarbonizzazione a Palazzo Chigi, il leader delle tute blu è scettico: “Poteva essere un’azione che eliminava gli alibi al gruppo industriale, togliendo di mezzo le argomentazioni che AdI usa per non investire. L’emendamento andava bene in sé, ma se non hai in mano nulla per condizionare il gruppo industriale sei disarmato”, considera Palombella, riferendosi all’iniezione di 680 milioni di liquidità che il Governo ha concesso all’azienda a gennaio. “Noi ci eravamo opposti, ma ormai sono stati erogati”. 

PROSPETTIVA NERA
Il conto alla rovescia verso la paralisi effettiva dello stabilimento è già partito: “Sono al momento potenzialmente in esercizio tre altiforni – spiega Palombella – L’1 e il 2 sono prossimi al ‘fine vita’ e possono restare in esercizio fino alla fine del 2024 poi stop mentre il numero 4, dopo il cambio del crogiolo, ha una possibilità di vita di massimo 4-5 anni. Questo significa che all’inizio del 2025 resterà un solo altoforno, il numero 4, considerato che per costruire l’altoforno 5 e i due elettrici previsti dall’accordo servirebbero non meno di due anni. La produzione allora scenderà a 1,7 mln di tonnellate di ghisa che rende insostenibile ogni progetto di rilancio del gruppo siderurgico”.
“L’Ilva è destinata a morire, e il governo diventerà corresponsabile di chi ora la sta gestendo, che evidentemente vuole questo. Altrimenti come si fa a non investire su forni elettrici e decarbonizzazione?”, si domanda il segretario. E conclude: “Fra qualche anno non ci sarà più la possibilità di investire e allora il sito sarà alla mercè di un imprenditore indiano che se avrà una commessa remunerativa lo farà produrre, altrimenti lo chiuderà, come hanno fatto con altri impianti, e noi non produrremo più acciaio”.

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