La situazione dell’ex Ilva è sempre più preoccupante e intollerabile: i lavoratori sono in cassa integrazione con lo stipendio ridotto nonostante non ci sia alcun ammortizzatore sociale autorizzato perché il Decreto del Governo non è ancora efficace, fermo nell’iter burocratico del Ministero del Lavoro. “Per noi – ha ribadito a Taranto il Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, all’ultimo Consiglio territoriale – tutti i lavoratori devono rientrare a lavoro e deve essere corrisposto l’intero stipendio”.
NO GARANZIE
Il provvedimento dell’Esecutivo, inoltre, supera la consultazione e l’accordo sindacale e concede automaticamente la cassa integrazione fino a fine anno senza alcuna garanzia industriale, occupazionale e produttiva. Una decisione che si aggiunge a quella di inizio anno in cui sono stati concessi 680 milioni di euro pubblici senza vedere alcun miglioramento, sotto ogni punto di vista. “In questi mesi – ha continuato il leader Uilm – abbiamo chiesto più volte al Ministro Urso una forte accelerazione nella salita in maggioranza di Invitalia e nel cambio di governance ma a oggi abbiamo ricevuto solamente rinvii e tavoli inefficaci. Non si può pensare che una vertenza così importante, che interessa da undici anni oltre 20 mila lavoratori, tra diretti, indiretti e in Amministrazione straordinaria e un’intera comunità, si possa risolvere con interventi che prendono tempo senza soluzioni strutturali”.
La Uilm auspicava che l’ingresso dello Stato nell’ex Ilva potesse essere la garanzia per una prospettiva ambientale, produttiva e occupazionale. Così non è stato e, tra l’altro, i lavoratori dell’appalto soffrono da mesi ritardi nel pagamento degli stipendi e una grave incertezza sulla propria prospettiva occupazionale.
CONSIGLIO DI FABBRICA
Nel Consiglio di fabbrica che si è tenuto il 27 luglio, Fim Fiom Uilm e Usb hanno denunciato per l’ennesima volta lo stato dell’arte del più grande gruppo siderurgico italiano: il piano industriale posto alla base dell’accordo sottoscritto in sede ministero ex Sviluppo economico il 6 settembre 2018 non è stato formalmente modificato ma nei fatti mai applicato; il potenziale livello produttivo di sei milioni di tonnellate annui non è stato mai raggiunto e per l’anno in corso forse si raggiungeranno, ancora una volta, poco più di tre milioni di tonnellate di acciaio. Dal 2018, anno in cui è stato preso in carico da ArcelorMittal l’ex gruppo Ilva, non sono stati effettuati gli investimenti necessari ma quelli minimi per mantenere in marcia gli impianti indispensabili; gli impianti di finitura e tutta la filiera a valle come i anche i tubifici sono stati fermati.
Non sono mai state rese note, inoltre – dicono i sindacati – le modalità di utilizzo e la destinazione dei 680 milioni di euro di fondi pubblici nonostante gli impegni dichiarati e non realizzati dall’azienda. La gestione economica e finanziaria è stata sempre poco trasparente e certificata lo scorso 3 maggio, giorno in cui si è tenuta l’assemblea della holding che controlla Acciaierie d’Italia che ha prodotto un documento in cui è stata registrata la denuncia di Invitalia in merito alla mancanza di informazioni e aggiornamenti fondamentali al socio pubblico, in particolare, il mancato rispetto degli accordi da parte di ArcelorMittal. Invitalia, infatti, ha fatto presente che vi sono proiezioni finanziarie mai condivise coi soci e che “incidono di fatto sul piano industriale allegato all’accordo d’investimento”. Anche per valutare le “potenzialità e capacità della società di raggiungere i convenuti livelli di produzione e di generare sufficienti risorse finanziarie per rendere possibile la prosecuzione delle attività”.
Nonostante le dichiarazioni aziendali sul raggiungimento di oltre il 90% delle prescrizioni previste dall’AIA, ad oggi manca il pieno completamento degli adempimenti previsti.
Fim Fiom Uilm e Usb spiegano quindi che nei prossimi giorni si terranno i consigli di fabbrica in tutti i siti ex Ilva per discutere delle future iniziative a livello territoriale e, successivamente, assumere le decisioni su iniziative a livello nazionale a sostegno della vertenza.
I sindacati unitariamente chiedono al Governo di compiere scelte precise prima che sia troppo tardi, per il bene di 20mila lavoratori, interi territori e un settore strategico per il Paese come quello della siderurgia.