di Guglielmo Gambardella
Si è concluso con un mancato accordo l’esame congiunto, tenutosi prima presso la sede del ministero del Lavoro e poi in videoconferenza, per la richiesta di proroga della cassa integrazione da parte di Acciaierie D’Italia per 2.500 lavoratori dello stabilimento di Taranto.
Del resto, è paradossale che, dopo quasi cinque anni dalla firma dell’accordo del 6 settembre 2018 con cui è stato definito un preciso piano ambientale e industriale con garanzia occupazionale, si continui a parlare di soli ammortizzatori sociali senza un briciolo di prospettiva e una gestione aziendale che fa acqua da tutte le parti. Quella sulla cassa integrazione è una discussione a cui avremmo voluto sottrarci, ma nell’interesse dei lavoratori siamo stati invece presenti per ribadire, come abbiamo fatto da soli il 29 marzo scorso, la mancanza di presupposti per la concessione.
PALLA AL GOVERNO
Abbiamo quindi chiesto al Governo di rompere gli indugi e assumere l’unica decisione possibile: far rientrare a lavoro i 2.500 lavoratori. Invece, il 15 giugno in serata il Cdm ha approvato un pacchetto di norme in cui una dedicata alle crisi aziendali, con riferimento alle aziende di più di mille dipendenti, aziende di interesse strategico e interessate da complesse riorganizzazioni, che non sono riuscite a dare completa attuazione alle procedure che garantiscono la cassa integrazione straordinaria. Il Governo ha dunque deciso di consentire ad ADI di poter ricorrete alla cassa integrazione in deroga fino al 31/12/2023.
Per quanto ci riguarda però l’incertezza più grande è quella sulla visione di lungo periodo, se rimarranno le attuali condizioni di governance, il futuro dell’acciaieria di Taranto e di tutto il gruppo ex Ilva è segnato.
SOLDI CONCESSI SENZA VINCOLI
Purtroppo da tempo denunciamo inascoltati che i 680 milioni di euro concessi senza il vincolo della realizzazione di investimenti sarebbero stati sperperati, oltre a decine di milioni di euro sprecati per gli ammortizzatori sociali concessi fino ad oggi senza il recupero occupazionale, a partire dai lavoratori in Ilva AS e quelli dell’indotto. Ad oggi continua a non esserci nessuna certezza su volumi produttivi, sui livelli occupazionali, sugli assetti produttivi, sulla ripartenza dell’AFO 5, sulla realizzazione di forni elettrici e impianto DRI. Ci chiediamo cosa intenda fare il Governo nei confronti di un’azienda strategica, controllata dallo Stato ma sottomessa da un socio privato i cui obiettivi divergono da quelli dell’interesse nazionale. Per questi motivi continueremo a non essere complici di questo disastro sociale e industriale.