Care lavoratrici e cari lavoratori,
nelle ultime due settimane precedenti all’uscita di questo numero di Fabbrica società sono stato impegnato su alcuni territori, come a Taranto e Messina, dove ho svolto gli attivi che, come sapete, sono una grande occasione di confronto e di dibattito che fanno crescere sempre di più la nostra Organizzazione.
In particolare, a Taranto, ci hanno raggiunti anche il Segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri, e il Segretario organizzativo della Uil, Emanuele Ronzoni. Abbiamo quindi colto l’occasione per premiare i 23 rsu eletti in Acciaierie d’Italia dove la Uilm, dopo oltre 30 anni e con tutti i problemi che vive purtroppo quella fabbrica, ha continuato a mantenere il suo primato. Questo è stato possibile grazie all’impegno di tutti sul territorio e grazie alla nostra grande onestà. Abbiamo sempre detto le cose come stanno ai lavoratori, li abbiamo sempre difesi, abbiamo rifiutato la cassa integrazione chiedendo invece il lavoro. Ed è quello che continueremo fare anche adesso.
Si è svolto il 23 marzo un altro incontro al ministero del Lavoro sulla proroga della cassa integrazione per i lavoratori dell’ex Ilva, l’azienda ha chiesto un altro anno per 3mila dipendenti, di cui 2.500 a Taranto. Ma noi abbiamo ribadito che non avremmo firmato alcun accordo al buio, cioè senza sapere quali scenari e quali prospettive attendono la fabbrica. Elargire la cassa integrazione, sperperare risorse ed avere reddito da fame per i lavoratori, noi non lo possiamo accettare. Abbiamo quindi chiesto una discussione sulla prospettiva: senza l’avvio dell’altoforno 5 tanto promesso non è possibile il passaggio ai forni elettrici. Ma i lavori non sono partiti l’anno scorso e molto probabilmente non partiranno adesso.
Eppure, il mercato dell’acciaio va bene, c’è grande mercato, c’è richiesta. Il problema è che noi non siamo in grado di produrre e lo dobbiamo importare a prezzi molto alti.
L’Italia era ed è un Paese produttore e utilizzatore. È possibile crederci. Noi non abbiamo mai smesso di farlo e continueremo a svolgere il nostro ruolo con grande determinazione per Taranto ma anche per tutti gli altri stabilimenti d’Italia.
Nei giorni scorsi sono stato invitato al Forum Automotive a Milano, organizzato dal giornalista Pierluigi Bonora. È un tema di cui si continua a discutere molto e io ho avuto modo più volte di ribadire la nostra posizione in modo chiaro: non ci serve a nulla prendere tempo sulla data del 2035 se prima il Governo non ci dice come intende gestire il passaggio all’elettrico, quali azioni intende mettere in campo, cosa pensa di fare con le infrastrutture, se è d’accordo o meno con la nostra proposta di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Insomma, noi ci arrenderemo mai alla modalità tutta italiana di “prendere tempo, tanto poi ci pensano gli altri”.
Le grandi case automobilistiche, compresa Stellantis, si sono già organizzate, hanno pianificato investimenti che riguardano anche il nostro Paese. E noi in tutta risposta cosa gli diciamo? Che messaggio gli mandiamo? Che non siamo pronti ad accogliere i loro investimenti? Che non faremo le colonnine? Che preferiamo che ci pensino i cinesi? Perché la realtà è questa.
Siamo ormai stanchi dei rimandi, i lavoratori hanno il diritto di sapere a quale destino vanno incontro. Tutti i lavoratori, in particolare quelli che lavorano nel settore della componentistica per auto, hanno bisogno di risposte certe.
La stessa trattativa sugli e-fuel tra la Germania e Bruxelles ha messo l’Italia all’angolo. Leggiamo sui giornali che il ministero tedesco dei trasporti, Volker Wissing, avrebbe rifiutato la proposta dell’Ue puntando a una contromossa. Lo stallo è dovuto al fatto che la Commissione prevederebbe il riconoscimento di una nuova categoria di veicoli in grado di funzionare con i carburanti sintetici, gli e-fuel, dotati di sensori capaci di bloccare il mezzo in caso di utilizzo di carburanti convenzionali. In poche parole, questo vorrebbe dire per le case automobilistiche sviluppare motori completamente nuovi. Come sapete l’Italia, insieme alla Germania, fa parte del blocco di minoranza e questo sta innervosendo gli altri Paesi membri come la Francia. Il rischio ora è che la Germania chiuda i suoi accordi, mentre l’Italia resti ai margini senza portare a casa nulla.
Staremo a vedere come i nostri politici riusciranno a gestire l’impasse, nel frattempo noi restiamo con i lavoratori continuando a lottare per un futuro al lavoro e per un ambiente più sano.