Il 10 maggio scorso Fim Fiom Uilm sono tornate a chiedere un incontro urgente al ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, con l’obiettivo di ridefinire le strategie legate agli asset di Acciaierie d’Italia. “Dopo l’accordo del 6 settembre 2018 sottoscritto in sede governativa – lamentano i sindacati – non ci è stato più consentito di affrontare nel merito, attraverso un confronto costruttivo, le questioni industriali, ambientali e occupazionali dell’ex Ilva e soprattutto quelle relative alla sicurezza dei luoghi di lavoro a tutela dei lavoratori e dei cittadini dei territori interessati”. Per tali ragioni, nelle province in cui insistono i più grandi siti del gruppo, a partire da Taranto e Genova, sono stati proclamati importanti iniziative di sciopero per denunciare una gestione insostenibile degli stabilimenti che ne sta compromettendo inesorabilmente il destino.
IL NO DELLA PROCURA
Nel frattempo la Procura di Taranto, come era prevedibile, ha bocciato il dissequestro degli impianti nel sito pugliese. Quello della Procura è un parere espresso alla Corte d’Assise a cui gli avvocati di Ilva in amministrazione straordinaria hanno fatto istanza a fine marzo. Adesso bisognerà vedere quello che deciderà prossimamente la Corte, cui tocca la decisione di merito. A maggio di un anno fa, con la sentenza “Ambiente Svenduto” relativa ai gravi reati ambientali contestati ai Riva, la Corte ha disposto la confisca degli impianti su richiesta della pubblica accusa. Confisca che scatterà però solo se confermata dal giudizio in cassazione.
Se anche il verdetto della Corte d’Assise sarà negativo, i legali di Ilva in As potranno fare ricorso al Tribunale del Riesame e puntare in seguito alla Cassazione. Il dissequestro è importante in funzione del riassetto della società Acciaierie d’Italia che dovrebbe avvenire entro fine maggio, come previsto dal contratto di dicembre 2020.
IL NEGOZIATO NASCOSTO
Sul piano produttivo non cambia nulla, poiché il siderurgico può continuare a lavorare e gli impianti pur restando sequestrati, conservano la facoltà d’uso per il gestore. Cambia molto, invece, sia per il passaggio della maggioranza allo Stato tramite la controllata Invitalia (dal 38% al 60%) che potrebbe slittare di almeno un anno, sia per l’acquisto dei rami d’azienda di Ilva in As.
Voci di stampa dicono che Ilva in As, ArcelorMittal e Invitalia siano a lavoro per riformulare il contratto del 2020 e allungare i tempi di messa a regime. Un negoziato che le parti dovrebbero chiudere entro fine mese e pare stia incontrando delle difficoltà.
Mittal avrebbe chiesto uno sconto di 200 milioni sul prezzo di acquisto dell’azienda, fissato a 1,8 miliardi, e una riduzione ulteriore del 25% del canone di fitto, che era già stato tagliato del 50% a marzo 2020 con l’obbligo di saldare la parte corrisposta al momento dell’acquisto.
L’INDOTTO
Oltre a questo, ci sono problemi legati all’indotto, l’azienda Peyrani Sud sta decidendo se fermare o meno lo scarico di materie prime per la fabbrica bloccando le attività sul quarto sporgente portuale. Peyrani dichiara di essere in credito di circa 10 milioni da Acciaierie d’Italia e di aver ricevuto addirittura una richiesta di riduzione del 7-8% per la firma del nuovo contratto. “La situazione resta grave a 360 gradi – commenta Rocco Palombella, Segretario generale Uilm – e il governo ignora le nostre richieste. È incredibile come in Italia siamo dei campioni quando si tratta di perdere asset industriali, settori strategici e possibilità di rilancio della nostra economia. Eravamo un Paese pieno di risorse, forse lo siamo ancora, ma le stiamo disperdendo senza batter ciglio. Noi non ci fermeremo davanti a nulla, meglio che lo sappiano”.