Mentre usciamo con questo numero di Fabbrica società si sta svolgendo un incontro presso il ministero del Lavoro sulla cassa integrazione che riguarda i lavoratori di Acciaierie d’Italia. La seconda da quando l’azienda ha avviato la procedura cercando un confronto con il sindacato, confronto che purtroppo sia a livello nazionale che locale non ha portato a uniformità di vedute.
Nel frattempo, lo scorso fine settimana il presidente del Consiglio, Draghi, ha posto l’attenzione sul futuro della siderurgia con l’obiettivo di aumentare la produzione dell’ex Ilva per sopperire alle carenze di acciaio che sta scontando tutta la filiera siderurgica italiana, causate dalla guerra in Ucraina. “Attenzione positiva – ha commentato il Segretario generale Uilm, Rocco Palombella – che deve essere accompagnata dal ritiro immediato da parte di Acciaierie d’Italia della procedura di cassa integrazione straordinaria per un anno per tremila lavoratori, ora ancora di più ingiustificata”. Palombella chiede il rientro a lavoro di tutti i lavoratori e l’accelerazione per gli investimenti sulla decarbonizzazione.
NO ALLA CASSA STRAORDINARIA
“Non ci sono le condizioni per attuare la cassa integrazione straordinaria”, tuona Palombella. “È ripartito l’altoforno 4, che era stato fermato per lavori, e ha già effettuato la prima colata di ghisa – aggiunge – in azienda, poi, si sta studiando come allestire la macchina che dovrà permettere all’ex Ilva di solidificare la ghisa in modo da poterla vendere a fonderie e acciaierie elettriche che si stanno fermando perché stritolate dai costi dell’energia e da quelli delle materie prime, che sono anche introvabili. La stessa azienda si è data l’obiettivo di 6 milioni di tonnellate di produzione”.
La Uilm, quindi, non può sottoscrivere un avvio di cassa integrazione straordinaria che di fatto prefigura il licenziamento dei 1.700 lavoratori in Ilva AS a cui si aggiungerebbero altri 3mila lavoratori. “Per quanto ci riguarda – spiega il leader dei metalmeccanici della Uil – l’accordo del 6 settembre 2018 è l’unico sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e approvato dai lavoratori per mezzo del referendum”. Posizione ribadita già all’incontro in Confindustria del 10 marzo scorso.
Il sindacalista aveva, infatti, spiegato le sue ragioni: nel 2018 si arrivò a quel piano industriale dopo la realizzazione di un piano ambientale a cui diede l’ok la Commissione europea, dopo sei mesi di attenta valutazione, e dopo diversi addendum atti a soddisfare le richieste della Regione Puglia e del Comune di Taranto. Sempre nel 2018 si partiva da 14.200 persone per arrivare a 10.700 stabilendo un parametro: su 6 milioni di tonnellate di produzione dovevano lavorare a Taranto 8.200 lavoratori. Inoltre, i circa 2mila in Ilva AS sarebbero dovuti rientrare a lavoro con la risalita produttiva e comunque entro la fine di realizzazione del piano.
UN ACCORDO ANCORA IN ESSERE
“Quell’accordo – dice Palombella – è ancora oggi in essere, pertanto restano validi il piano ambientale e tutte le garanzie occupazionali. Dovete quindi sapere che un accordo di cassa straordinaria di un anno che ‘presumibilmente’, così come avete scritto, traguarda il 2025 noi non siamo nelle condizioni di poterlo firmare”. Quello che succederà dopo l’incontro di oggi è ancora tutto da vedere.