di Loretta Tani
La storia della Giornata internazionale della donna risale ai primi del Novecento. Per molti anni l’origine dell’8 marzo si è fatta risalite a una tragedia accaduta nel 1908, che avrebbe avuto come protagoniste le operaie dell’industria tessile Cotton di New York, rimaste uccise da un incendio. Tale incendio è stato però confuso con un altro avvenuto nel 1911 nella stessa città e dove si registrarono 146 vittime, fra cui molte donne. I fatti che hanno realmente portato all’istituzione della Giornata internazionale della donna sono in realtà più legati alla rivendicazione dei diritti delle donne, tra i quali il diritto di voto.
ALCUNI CENNI STORICI
Corinne Brown, socialista americana, nella Conferenza del Partito tenuta a Chicago il 3 marzo del 1903 basò tutto il suo intervento sullo sfruttamento delle donne nelle fabbriche. Quella conferenza, alla quale furono invitate molte donne, prese il nome di Woman’s Day, e da quel giorno in molti paesi si organizzarono diverse manifestazioni per la rivendicazione dei diritti delle donne. Dopo la Prima guerra mondiale, periodo in cui ci fu una battuta d’arresto, le celebrazioni ripresero nuovo vigore con l’evento dell’8 marzo 1917 quando le donne russe scesero in piazza per rivendicare il diritto al voto e per protestare contro il regime zarista. In occasione della Seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste di Mosca tenutasi a giugno del 1921 si arrivò alla decisione di fissare un’unica data per la celebrazione dei diritti delle donne, che ricadde appunto all’8 marzo. In Italia la sua celebrazione avvenne per la prima volta nel 1922, ma solo nel 1946 a Roma si adottò la mimosa come simbolo di questa giornata, scelta in parte condizionata dalla temperatura stagionale e dalla sua facile ed economica reperibilità.
LA SITUAZIONE ATTUALE DELLA DONNA
Vorrei poter dire che oggi nel 2022, la donna può considerarsi alla pari degli uomini, ma così non è. Sicuramente abbiamo acquisito molti più diritti rispetto alle nostre nonne, ma abbiamo ancora molto da lavorare, esiste ancora un divario retributivo a parità di livello, sono ancora molto resistenti gli stereotipi del tempo andato e la violenza è ancora un dramma quotidiano.
Abbiamo attraversato due anni di pandemia dove la donna è stata in prima linea negli ospedali, nei negozi di prima necessità, nelle scuole, e, nonostante ciò, molte donne che non erano nelle attività primarie hanno perso il lavoro durante il primo periodo di lock down perché considerate l’anello debole del mercato del lavoro, e quindi costrette a una scelta tra lavoro e cura della famiglia. Ora che stiamo sulla scia di coda di questo biennio, la situazione lavorativa sembra solo apparentemente migliorata: grazie ai provvedimenti del Governo molte donne sono state nuovamente assunte, ma la realtà è che hanno trovato sì lavoro, ma con un contratto precario, a tempo determinato, part-time involontario, a chiamata ad ore, a somministrazione… ciò significa non potersi programmare una vita come si vorrebbe, non poter ottenere un mutuo per una casa, né acquistare una macchina o tantomeno pensare di avere dei figli, perché nessuno a queste condizioni precarie è disposto a darti un finanziamento. Non si sa se quando scadrà il contratto verrà o meno rinnovato e si resta in balia degli eventi.
IL PENSIERO DELLA UIL
E la precarietà è condannata anche da Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, secondo cui è una piaga che rende “malato il mercato del lavoro, genera insicurezza e andrebbe accompagnata da adeguate politiche di welfare”. In questo, sostiene la segretaria, il PNRR può essere fondamentale per aiutare a migliorare la situazione creando un vero cambio di passo e dando reali opportunità occupazionali alle giovani donne. “Siamo consapevoli che si tratta di una grande sfida,” conclude Veronese, “ma essa rappresenta il vero futuro del nostro Paese”.