di Rocco Palombella
Non possiamo fare a meno di dedicare un articolo di questo numero di Fabbrica società a un evento di grande interesse internazionale: l’elezione del Presidente della Repubblica.
Nella nostra Carta costituzionale è stabilito che sei mesi prima della scadenza del mandato settennale del Presidente della Repubblica, che quest’anno coincideva con il 3 febbraio, non è possibile sciogliere le camere al fine di garantire naturalmente stabilità al Paese in vista di un avvenimento di tale portata.
Per la situazione inedita che stiamo vivendo, questa elezione si è caricata di nuovo significato. Non sfugge a nessuno, infatti, come da circa un anno ci troviamo in presenza di un Governo tecnico, con al suo interno quasi tutti i partiti, tranne Fratelli d’Italia. Assicurare al nostro Paese un nuovo Presidente della Repubblica era importante per infondere nei nostri concittadini, e nell’Europa, una più ampia fiducia nelle nostre istituzioni.
IO VORREI, NON VORREI, MA SE VUOI
La rielezione di Mattarella, sebbene sia passata nella mente di tutti noi, non era la prima scelta. Da tempo, infatti, lo stesso Presidente uscente aveva annunciato la volontà di non ricandidarsi. Anche perché nella storia della Repubblica italiana i mandati non sono mai stati raddoppiati, tranne che per Napolitano eletto nel 2006 e successivamente nel 2013 (rimasto in carica per soli due anni).
Mattarella, succeduto proprio a Napolitano, aveva espresso la sua ferma volontà di congedarsi. E siccome da mesi sui giornali e nei salotti buoni della TV non si faceva altro che parlare di questo appuntamento, ci si aspettava che i partiti fossero riusciti a convergere su una figura bipartisan e autorevole in grado di succedergli. Ora possiamo dirlo con certezza: la verità è che si è solo perso del tempo prezioso.
Ancora una volta, purtroppo, abbiamo dato uno spettacolo indecoroso arrivando alle elezioni senza un nome condiviso. La scheda bianca ha tenuto banco nelle prime giornate di votazioni e nelle successive tanti nomi, anche autorevoli, sono stati letteralmente “bruciati” con una semplicità inaudita. Questo ha creato rotture tra diversi gruppi politici e all’interno degli stessi.
Alla fine, vista la situazione di stallo e al limite del paradosso, la soluzione è stata quella di chiedere la ricandidatura del Presidente uscente Mattarella. Questa è stata l’unica proposta che nessuno ha potuto rifiutare e alla fine abbiamo eletto il 13esimo Presidente della Repubblica.
COME LUI NESSUNO MAI
Fermo restando il nostro giudizio più che positivo su Mattarella, non possiamo essere però d’accordo sui toni trionfalistici e sulla vittoria che tutti i gruppi politici hanno cantato subito dopo l’elezione. In verità pensiamo che non essere in grado di eleggere un nuovo presidente dopo i sette anni del mandato abbia scritto una brutta pagina della nostra Repubblica.
Per un caso fortuito ho avuto modo di seguire parte della cerimonia, mi trovavo infatti nei paraggi quando Mattarella, dopo il discorso accorato, sentito e condiviso da tutti al Parlamento italiano, è uscito da Monte Citorio prima di recarsi con la Flaminia al Vittoriano per l’omaggio al Milite Ignoto. È stato davvero emozionante seguire in diretta un pezzo di Storia del nostro Paese, avendo comunque la sensazione che siamo un popolo dalle grandissime potenzialità, troppo spesso irrimediabilmente sprecate.
SPECCHIO DELLE MIE BRAME
La rielezione di Mattarella è certamente lo specchio della situazione che stiamo vivendo ed emblema della politica italiana. Noi facciamo gli auguri al Presidente, riteniamo che l’Italia abbia di nuovo alla guida una persona autorevole e credibile, ma non possiamo fare a meno di pensare che il contraltare di tutto questo sia il fatto che tranne Mattarella e Draghi non ci siano altre figure in grado di poter mettere d’accordo tutti.
Il Parlamento ne esce dilaniato al suo interno e nelle varie coalizioni, la nostra preoccupazione legittima è che questo strappo sia avvenuto a poco tempo di distanza dalle elezioni politiche.
Il nostro Paese non può permettersi un altro anno di campagna elettorale, conteremmo danni irrimediabili per la nostra economia. È necessario che si trovi il modo per andare avanti per affrontare le riforme e il degrado industriale, per governare la transizione ecologica che rischia di trascinare l’Italia agli ultimi posti da un punto di vista sociale ed economico. Il sindacato c’è ed è pronto come sempre a dare un contributo.