Un ritorno dell’occupazione vicino ai livelli pre-pandemia: questa la fotografia dell’Istat sul mondo del lavoro in Italia a novembre 2021. Vediamo nel dettaglio come si sta sviluppando l’occupazione nel nostro Paese, ancora alle prese con un’emergenza che dura da quasi due anni.
VICINO AI LIVELLI PRE PANDEMIA
Grazie alla crescita dell’occupazione su base mensile di 64 mila unità si è superata la quota di 23 milioni di occupati in Italia, che è rimasta inferiore di 115mila unità rispetto a febbraio 2020 ma con un tasso di occupazione superiore di 0,2%, pari al 58,9%, e una diminuzione della disoccupazione dal 9,7% al 9,2% e il tasso di inattività di 0,2%, attestandosi al 35%.
Da settembre a novembre 2021 si è registrato un aumento di 200mila occupati, con un aumento di 70mila unità rispetto al trimestre precedente (giugno-agosto). Da novembre 2021 a novembre 2020 si è registrato un aumento dell’occupazione di 494 mila unità, con una diminuzione del numero di persone in cerca di lavoro, pari a 53mila, e del numero di inattivi, pari a 633mila.
AUMENTO PRECARI
Andando ad analizzare i dati pubblicati dall’Istat si può notare come dei 494mila occupati in più da novembre 2020 a novembre 2021, oltre il 90% riguarda lavoratori con contratti a termine, pari a 448 mila, superando quota 3 milioni nel nostro Paese. Quindi una ripartenza del nostro Paese, ma grazie al ricorso a contratti precari. Una crescita che ha riguardato prevalentemente giovani e donne. Se ai 3 milioni di precari ci aggiungiamo i 2,7 milioni di lavoratori in part-time involontario e oltre 2 milioni di disoccupati, abbiamo di fronte uno scenario poco edificante con 5 milioni di persone con un salario medio non superiore ai 10mila euro lordi annui.
RIFORMA SPAGNOLA
Il 28 dicembre scorso in Spagna, dopo una lunga e difficile trattativa tra Governo, organizzazioni sindacali e datoriali, è stata approvata una riforma che rappresenta un’inversione di tendenza contro la precarietà, dopo anni di politiche che hanno aumentato la flessibilità nel mondo del lavoro, raggiungendo il record europeo del 22,3% di contratti a termine sul totale, rispetto a una media dell’Ue del 12,8% e dell’Italia del 13,4%.
I punti principali sono una forte restrizione del ricorso ai contratti a termine, un adeguamento delle regole del contratto collettivo, maggiori garanzie ai lavoratori in appalto e subappalto e la predisposizione di un meccanismo simile alla cig italiana per evitare che le crisi diventino subito licenziamenti.
Rispetto al primo punto si prevede il contratto a tempo determinato solo in caso di esigenze produttive o sostituzione di lavoratore assenti. La riforma che la durata non possa durare più di sei mesi (o un anno se previsto dal contratto collettivo) e se si superano i 18 mesi di lavoro su 24, anche con contratti diversi, il lavoratore passa a tempo indeterminato. Quindi è stato introdotto un incremento della contribuzione, ovvero un disincentivo economico, per i datori che assumano con contratti a termine con durata inferiore ai trenta giorni.
Riguardo al secondo punto il Governo spagnolo ha deciso di restringere la prevalenza del contratto aziendale su quello collettivo nazionale solamente alle materie di orario e turni straordinari, inquadramento professionale e conciliazione vita-lavoro. Infine, per quanto riguarda gli appalti viene previsto un aumento della responsabilità solidale dell’impresa appaltante per il pagamento dei contributi, per tre anni, e del salario per un anno. Ora la riforma dovrà essere approvata dal parlamento spagnolo e non si escludono colpi di coda.
Una legge che appare con dei limiti ma che rompe un paradigma che dura da troppi anni, ovvero la precarizzazione del lavoro che non solo in Spagna ma anche in Italia dura da almeno due decenni e in maniera più forte dal 2011 in poi. Speriamo che la riforma spagnola rappresenti davvero un’inversione di rotta delle politiche del lavoro in Europa e non l’ennesimo pannicello caldo.