Whirlpool ed Elica: due casi emblematici di aziende che decidono di chiudere alcuni stabilimenti nonostante il settore degli elettrodomestici sia in un momento di espansione. Decisioni inspiegabili figlie di un Paese che non tutela il suo patrimonio umano e professionale, ma anche frutto di un’Europa che non riesce a mettere fine all’annoso problema delle delocalizzazioni.
WHIRLPOOL
Il 4 maggio si è riunito il coordinamento unitario di Whirlpool che ha denunciato l’assenza di volontà di rispettare quanto definito nell’accordo sulla stabilizzazione occupazionale e sul piano di investimenti da effettuare negli stabilimenti italiani nel triennio 2018-21 da parte della multinazionale.
Nell’incontro avuto al Mise il 28 aprile non sono emersi riposizionamenti sulle decisioni di chiudere lo stabilimento di Napoli, di accelerare i tempi sul progetto di industrializzazione di “Teverola 1” e “Teverola 2” e di sospendere la cassa integrazione a zero ore a 40 dipendenti degli stabilimenti di Fabriano, Melano, Pero e Siena.
IMMOBILISMO PARADOSSALE
Il Coordinamento ha sottolineato che questo immobilismo avviene nonostante siano aumentati i volumi di vendita nel 2020, confermati anche nel primo trimestre 2021, con risultati economici al sopra delle medie degli ultimi anni. A fronte di questi risultati è sempre più incomprensibile la scelta dell’azienda di lasciare il sito di Napoli con la perdita di 350 posti di lavoro.
Il coordinamento ha deciso di continuare le iniziative di lotta a sostegno della vertenza, che saranno anticipate da assemblee da tenere in tutti i siti del gruppo a cui parteciperanno anche i delegati dello stabilimento di Napoli. Il 27 maggio si terrà un presidio a piazza Santi Apostoli a Roma dalle ore 10 dove sono stati invitati tutti i gruppi parlamentari di Camera e Senato con l’obiettivo di richiamare la loro attenzione sul futuro dello stabilimento partenopeo, a due anni dall’inizio della vertenza ed ad un mese dalla fine del blocco dei licenziamenti.
Si terrà poi una giornata di sciopero da programmare a metà giugno con manifestazione nazionale, mentre continua lo sciopero degli straordinari con modalità definite a livello di stabilimento.
Il Coordinamento, oltre a delegare le segreterie nazionali di Fim Fiom Uilm a contattare i capigruppo parlamentari, ha confermato la richiesta di intervento del Presidente del Consiglio Mario Draghi per richiamare la proprietà americana alle sue responsabilità occupazionali, produttive e sociali.
ELICA
“Il Lavoro non si tocca, lo difenderemo con la lotta”. Con questo slogan i lavoratori di Elica, azienda del settore delle cappe aspiranti, hanno manifestato l’11 maggio contro il piano di chiusura dello stabilimento a Cerreto D’Esi, in provincia di Ancona, che prevede 409 esuberi su 560 dipendenti.
Anche in questo caso, la chiusura è legata alla delocalizzazione decisa dalla ditta che sposterà in Polonia il 70% delle produzioni dei siti di Fabriano, Cerreto e Mergo.
INCONTRO AL MISE
Il 3 maggio Fim Fiom Uilm hanno confermato, nell’incontro convocato dal ministero dello Sviluppo economico, la ferma contrarietà al piano di ristrutturazione industriale presentato dal Gruppo dichiarando che è “inaccettabile pensare di recuperare redditività tagliando 408 dipendenti e trasferendo gran parte delle produzioni nello stabilimento di Jelcz-Laskowice in Polonia”. Una scelta che Fim Fiom Uilm non condividono in nessun modo.
QUALI SOLUZIONI?
Già dieci anni fa, il Gruppo aveva operato una ristrutturazione del sito con la riduzione dell’organico. Nel frattempo non sono stati fatti investimenti sui macchinari e sulle persone, con la beffa che una parte dei 35 milioni investiti in ricerca e sviluppo hanno sostenuto prodotti che si fanno da anni in Polonia.
Il viceministro Todde ha deciso di tenere aperto il tavolo ministeriale per trovare risposte diverse da quelle previste dal piano circa gli attuali occupati. Si devono trovare soluzioni per salvaguardare i 408 occupati e per preservare il Made in Italy.