di Andrea Farinazzo
La sorveglianza straordinaria obbligatoria si applica ai “lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia Covid-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”. In particolare, si sottolinea che il nuovo istituto “presenta evidenti tratti di specialità rispetto a quello della sorveglianza sanitaria ‘ordinaria’, pure pienamente confermata dall’incipit dell’art. 83, comma 1, (‘fermo restando quanto previsto dall’art. 41 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81’), avendo carattere straordinario e transitorio”. In questo caso, il controllo sanitario, più che essere associato a un rischio connesso alla mansione svolta in sé e per sé, risulta collegato alla situazione di fragilità del singolo. Volendo entrare maggiormente nel dettaglio, si evidenzia come i due profili appaiano “strettamente correlati”.
Si segnala, inoltre, il contenuto del Vademecum del medico competente «Covid-19 Fase 2. Accompagnare il lavoratore al rientro al lavoro», predisposto dall’Associazione Nazionale Medici d’Azienda (ANMA), che afferma che il medico dovrà fornire la propria ‘valutazione razionale’ al fine di stabilire, caso per caso, se e quando un lavoratore, avuto riguardo al profilo di rischio legato alle sue caratteristiche individuali, può riprendere il lavoro in ragionevole sicurezza, nell’ambito della specifica situazione lavorativa di riferimento che, a sua volta, presenta un ulteriore, specifico profilo di rischio.
Si evidenzia, altresì, che “a ulteriore conferma della specialità della sorveglianza ex art. 83 del D.l. n. 34/2020 – è lasciata al datore di lavoro la facoltà (onerosa) di scegliere se nominare un medico ad hoc per il periodo emergenziale o rivolgersi ai servizi territoriali dell’INAIL, che provvederanno alla richiesta di attivazione del controllo sanitario con propri medici del lavoro, nel qual caso, però, non troveranno applicazione gli artt. 25, 39, 40 e 41 del d.lgs. n. 81/2008 (art. 83, comma 2)”.
Le criticità e le problematiche del nuovo istituto
Il problema risiede nel fatto che alla evidente importanza dell’istituto “non corrisponde una altrettanto precisa definizione del medesimo, che si presenta lacunoso sotto vari profili, probabilmente scontando una non pienamente adeguata ponderazione, da parte del legislatore, del suo impatto sul quadro normativo vigente, oltre che a motivo della incertezza scientifica che ancora circonda la malattia Covid-19 e il virus che la provoca”. Basti citare, a titolo di esempio, “il richiamo all’età (che) risulta del tutto generico, non essendo accompagnato dall’individuazione di una determinata soglia”.
Utili indicazioni sul tema possono arrivare, tra gli altri documenti, dalla Circolare del Ministero della Salute del 29 aprile 2020 “secondo cui ‘i dati epidemiologici rilevano una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (>55 anni di età)’, quantunque non manchino informazioni parzialmente differenti a proposito dei gruppi vulnerabili”. Inoltre, anche il riferimento alla «comorbilità», “appare piuttosto vago, non essendo specificato quali patologie concomitanti possano rilevare”. In questo caso, nutriti elenchi indicativi, ma non certo esaustivi, possono rintracciarsi nei documenti elaborati dalle società scientifiche del settore, le quali dovrebbero auspicabilmente farsi carico, altresì, di promuovere percorsi formativi ad hoc, stante la necessità che, il sistema previsto dall’art. 38 del d.lgs. n. 81/2008 per il medico competente, sia adeguato – per quanto concerne il profilo dell’aggiornamento professionale – al mutato contesto. Risulta, poi, evidente come il fatto di soffrire di altre patologie non implichi automaticamente il riconoscimento della condizione di fragilità, essendo questa rimessa al prudente apprezzamento del sanitario, che ne valuta autonomamente la rilevanza, anche rispetto a situazioni ben compensate dall’eventuale terapia farmacologica assunta e con riferimento alla gravità del quadro clinico complessivo”.
Anche le modalità di effettuazione della «sorveglianza sanitaria eccezionale» “non sono definite puntualmente dal legislatore e parrebbero richiedere un adattamento, in via interpretativa, della normativa vigente”. D’altra parte, già a proposito del compito di segnalare le persone in condizione di fragilità, individuato dal Protocollo condiviso, si era osservato come, allorché il lavoratore fragile non fosse stato soggetto in precedenza a sorveglianza sanitaria e/o nel caso in cui le sue problematiche di salute non fossero già note al medico competente, in quanto non correlate all’occupazione, per quest’ultimo sarebbe stato difficile venire a conoscenza delle stesse, se non nel caso in cui fossero state palesate spontaneamente dal lavoratore”.
A tal fine, si rimanda alla lettura integrale del contributo che approfondisce ulteriori conseguenze e criticità del nuovo Istituto, anche in relazione alla possibile assenza di medici competenti aziendali e al diritto alla riservatezza.
Gli auspici, le esclusioni e i possibili sviluppi della normativa
Il contributo rileva come nonostante i limiti ampiamente evidenziati “il diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro di stampo emergenziale sembri avere comunque qualcosa d’interessante da dire” all’ordinario sistema di prevenzione aziendale, già delineato dal d.lgs. n. 81/2008.
Se il medico competente va considerato alla stregua di un «consulente globale» del datore di lavoro, questo ruolo non può più prescindere dalla sua necessaria “collaborazione alla valutazione dei rischi, che dovrebbe, in altri termini, essere svincolata dall’obbligo della sorveglianza sanitaria”.
In tale ottica, occorrerebbe superare concettualmente anche la logica cui si ispira la previsione dell’art. 83 del D.l. n. 34/2020, il quale, pur prefigurando la nomina del medico anche nelle realtà ove questi non sia già presente, continua a collegarla alla necessità di un controllo sanitario, per quanto eccezionale.
Al contrario, i tempi appaiono maturi affinché il processo di piena emancipazione di tale figura rispetto alla vecchia concezione del medico quale esecutore di visite – processo a cui ha indubbiamente contribuito la legislazione più recente, tramite la valorizzazione della dimensione collaborativa della sua attività – si compia ormai in via definitiva”. Inoltre, la gestione della sorveglianza sanitaria eccezionale implica con tutta evidenza, alla luce di quanto osservato anche rispetto alla interpretazione dell’art. 83, D.l. n. 34/2020, in combinato disposto all’art. 26, comma 2, del D.l. n. 18/2020, “una stretta cooperazione fra medico competente e medico di medicina generale”.
Tale lettura conferma ancor di più l’urgenza di procedere con decisione lungo la strada di una maggiore interazione/integrazione fra la figura in questione e l’intero sistema di prevenzione aziendale, nonchè il Servizio Sanitario Nazionale. Si tratterebbe di una interazione/integrazione fra modelli di prevenzione interni ed esterni all’organizzazione datoriale, volta alla implementazione di una strategia di tutela della salute del lavoratore a tutto tondo, idonea in tal modo a fornire una migliore risposta ad eventi come quello tuttora in corso. Si rinvia, infine, alla lettura della parte finale dell’allegato al D.l. n. 83/2020 – Misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020 – che indica le norme i cui termini sono prorogati sino al 15 ottobre 2020 e fra le quali non è presente l’art. 83 del D.l. n. 34/2020. Come evidenziato nel citato contributo, “si auspica che in sede di conversione possa porsi rimedio a una esclusione francamente poco comprensibile, in virtù delle persistenti ragioni di tutela dei lavoratori fragili, destinate a permanere fintanto che la fase pandemica non sia definitivamente superata (e, stando alla situazione interna e internazionale, purtroppo non pare che la sua fine sia prossima)”. Lavoratori Fragili che continuamente porgono la propria vita per conservare il proprio posto di lavoro. Ma la necessità di sostentamento non può inficiare la tutela del diritto alla salute. Lavorare per vivere, che è ben diverso dal rischiare la propria vita per il lavoro! La sicurezza è una carezza alla vita e deve essere difesa affinché ognuno di noi possa far ritorno a casa dalla propria famiglia.