di Andrea Farinazzo
Nel documento ANMA “COVID-19: gestione del lavoratore ‘fragile’” viene proposta una prassi per la gestione dei lavoratori “fragili”, una linea di comportamento che è “ovviamente declinabile” a seconda della realtà in cui il medico competente (MC) si trova ad operare.
L’articolo 3, comma 1, lettera b) del Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 marzo 2020 indica che “è fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Il documento sottolinea poi che è evidente “per motivi di privacy e di segreto professionale che non può essere il MC a segnalare all’azienda “situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti” come indicato nel ‘ Protocollo condiviso’ dello scorso 14 marzo”. Infatti la raccomandazione del DPCM dell’8 marzo indicata sopra “è rivolta direttamente alla persona ‘fragile’ ed è quindi questa che deve farsi parte attiva”. E tra l’altro – continua il documento – bisogna considerare anche il fatto “che la ‘fragilità’ è in genere dovuta a situazioni cliniche non correlabili all’attività professionale e di cui non sempre il MC è a conoscenza, perché il lavoratore non le ha riferite in occasione della vista preventiva o perché emerse tra una visita periodica e la successiva, senza che il lavoratore ne abbia messo al corrente il MC”.
È dunque necessario condividere una linea di comportamento comune e da questa considerazione nasce la proposta di una prassi che coinvolge MC, organizzazione aziendale e SSN:
- “il MC informa per iscritto il Datore di Lavoro sulle disposizioni contenute nell’art. 3, comma 1, lettera b) del DPCM 8 marzo 2020 (elaborare un’unica comunicazione da inoltrare a tutte le imprese che si segue);
- il MC collabora con il Datore di Lavoro per l’elaborazione di una comunicazione finalizzata ad informare i Lavoratori della raccomandazione disposta dall’art. 3 del DPCM 8 marzo 2020. Nella comunicazione si invitano i lavoratori che ritengono di rientrare nelle tipologie di pazienti previste dalla norma di rivolgersi al Medico di Medicina Generale (MMG) che, a loro tutela, potrà giustificare il periodo di ‘isolamento’;
- nella comunicazione ai Lavoratori si specifica che nei casi in cui il MMG non prescriva (o non possa prescrivere) il periodo di malattia, il Lavoratore può contattare il MC informandolo della situazione, conferendogli in tal modo, anche questo specificato nella comunicazione ai Lavoratori di cui al punto 2., il consenso alle azioni successive che lo stesso dovrà mettere in atto per la sua tutela;
- nei casi in cui il MC sia a conoscenza del quadro clinico che determina la condizione di fragilità del Lavoratore, comunica al Datore di Lavoro, limitandosi alle informazioni strettamente necessarie, la richiesta di adottare nei confronti del Lavoratore le misure idonee per ottemperare alla raccomandazione disposta dal citato articolo 3;
- nei casi in cui il MC non sia a conoscenza del quadro clinico che determina la condizione di fragilità del Lavoratore, invita lo stesso a rivolgersi nuovamente al MMG al fine di ottenere un certificato attestante la sua condizione, in alternativa, richiede al Lavoratore di trasmettergli la documentazione clinica comprovante la sua condizione;
- il MC, verificata la documentazione prodotta dal Lavoratore (certificato del MMG o documenti clinici), comunica al Datore di Lavoro, limitandosi alle informazioni strettamente necessarie, la richiesta di adottare nei confronti del Lavoratore le misure idonee ad ottemperare alla raccomandazione disposta dall’articolo 3”.
La gestione dei lavoratori “fragili” nelle aziende
Rimandiamo alla lettura integrale del documento che riporta una tabella con alcune patologie e condizioni di immunodepressione che possono configurare una maggiore sensibilità al contagio.
Riportiamo, invece, dal documento uno specchietto riassuntivo riguardo alla gestione dei lavoratori “fragili”
La misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro
In riferimento al “Protocollo condiviso” ANMA pubblica anche il documento “COVID-19 – Misurazione della temperatura all’accesso al luogo di lavoro”, una prassi per la gestione della misurazione della temperatura in accesso al luogo di lavoro. Anche in questo caso è la proposta di una linea di comportamento “declinabile a seconda della realtà in cui il MC si trova ad operare”.
Si indica che nel “ Protocollo condiviso” al punto 2 (Modalità di ingresso in azienda) si legge: “Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5° non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro. Le persone in tale condizione – nel rispetto delle indicazioni riportate in nota – saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherine, non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio Medico curante e seguire le sue indicazioni”.
Si ricorda che il protocollo “non è stato concepito né in una logica vincolante né quale documento universalmente valido, ma quale strumento che contiene una serie di indicazioni che Governo e firmatari ritengono idonee a garantire la salute delle persone senza interrompere le attività produttive”. Offre indicazioni generali che ciascuno deve adattare alle proprie specificità e “si muove nella logica della precauzione per tutelare i Lavoratori da un rischio biologico generico (eguale per tutta la popolazione), per cui le indicazioni di riferimento sono quelle cautelari indicate dalle Autorità Sanitarie. L’intesa si colloca, dunque, al di fuori della prevenzione regolata dal D. Lgs. 81/08 (in questa logica, come evidenziato da più parti l’azienda non è tenuta ad aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi)”. Ed è responsabilità del singolo Datore di Lavoro adattare le misure indicate nel Protocollo condiviso, “tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali”.
Riguardo al tema del documento si indica che “il primo atto, rimesso alla determinazione di ciascun Datore di Lavoro, è la misurazione della temperatura al momento dell’accesso al luogo di lavoro delle proprie risorse umane e questa indagine, per quanto non decisiva potendo una persona asintomatica essere portatore del virus e trasmetterlo, può costituire uno screening importante per contenere l’infezione da COVID-19”.
In particolare l’acquisizione del dato relativo al rilievo della temperatura corporea può seguire procedure differenti:
- la misurazione in loco in ingresso in azienda;
- la raccolta quotidiana dell’autocertificazione del monitoraggio della temperatura corporea da parte di ogni lavoratore (come previsto, ad esempio, da alcune ATS della Lombardia in attuazione del combinato disposto delle ordinanze n. 514 – 515 – 517/2020 di Regione Lombardia)”.
Rimandiamo, anche in questo caso, alla lettura integrale del documento che riporta le indicazioni operative per la misurazione in loco in ingresso in azienda, rispettose delle disposizioni dettate dalla “privacy”. Segnaliamo alcuni aspetti trattati nelle indicazioni operative:
- Allestimento check point
- Operatore di check point
- Dotazione DPI – istruzioni per l’uso – igiene delle mani – smaltimento dei DPI
- Caratteristiche del termometro – avvertenze d’uso
- Registrazione della temperatura e modalità di comunicazione della rilevazione al Lavoratore e al Datore di Lavoro
- Auto-misurazione della temperatura corporea in ingresso
- Gestione della persona che presenta febbre alla misurazione in check point o che lamenti febbre mentre è al lavoro
Coronavirus: il ruolo del medico competente nella fase 2
Il ministero della Salute, per il tramite della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria Ufficio 4, ha emanato una serie di specifiche indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV2 negli ambienti di lavoro e nella collettività.
Per una sua corretta lettura va ricordato che il documento ministeriale ha come riferimento il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto il 14 marzo 2020 tra Governo e Parti Sociali come integrato e modificato il 24 aprile 2020 oltre che nel “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione” emanato in data 9 aprile 2020 dal Comitato Tecnico Scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile.
La Circolare Ministeriale (CM) evidenzia anzitutto la necessità di un approccio integrato nella valutazione e gestione del rischio connesso all’attuale nell’emergenza pandemica, rimarcando che l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, sia nella fase di “lockdown” sia nella fase, deve assolvere al duplice obiettivo di garanzia della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore nonché, in una logica più ampia di tutela del bene salute, della salute della collettività costituzionalmente tutelati.
La centralità del ruolo del MC nello scenario prevenzionistico di tutela della salute dei lavoratori e della sicurezza sul lavoro, già conclamata in regime di ordinario svolgimento delle attività lavorative, risulta accentuata in fase di emergenza pandemica, durante il quale si concreta ulteriormente il suo ruolo di “consulente globale” del datore di lavoro.
La CM passa poi in rassegna i presupposti normativi di cui all’art. 38 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. in materia di titoli e requisiti dei medici competenti, la previsione della iscrizione in un apposito elenco istituito presso il Ministero della Salute, del quale viene fatta una interessante disamina della distribuzione regionale delle figure di cui all’art. 38 e 38 d-bis aggiornato al 20 aprile u.s. Fa inoltre poi riferimento ai dati ex art. 40 allegato 3B per l’anno 2018 elaborati per tipologia di rischio dei lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria e dei relativi giudizi di inidoneità / di idoneità parziali. Oltre a questi riferimenti vengono presentati i dati dell’Indagine Insula 2 (Inail, 2019) inerenti la presenza di sorveglianza sanitaria del MC in azienda per settore ATECO disaggregato.
La CM di seguito affronta il tema della sorveglianza sanitaria con particolare riferimento alla fase di riavvio della attività lavorative nel contesto emergenziale pandemico, richiamando come il medico competente, in base all’art. 25 del D.lgs. 81/2008 e s.m.i., svolga una serie di attività anche di natura collaborativa col datore di lavoro ed il servizio di prevenzione e protezione in ordine alla valutazione dei rischi, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, nonché infine nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione già richiamate nel Protocollo Governo Parti Sociali del 24 aprile u.s., contribuendo a far sì che tali misure siano attinenti alle specifiche attività produttive e realtà aziendali cui si riferiscono, in un’ottica di miglioramento continuo della loro efficacia. Viene inoltre richiamato il ruolo di collaborazione del MC nelle attività di informazione/formazione dei lavoratori sul rischio di contagio da SARS-CoV-2 e sulle precauzioni messe in atto in ambito lavorativo, aggiornando progressivamente il datore di lavoro circa strumenti divulgativi predisposti dalle principali fonti istituzionali di riferimento, anche al fine di evitare il rischio di infodemia. Vengono a tal proposito individuati i principali contenuti informativi destinati ai lavoratori circa gli obblighi di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37,5°) o altri sintomi influenzali (tosse, difficoltà respiratorie) mettendone al corrente il proprio medico di medicina generale, di comunicare eventuali contatti con persone positive al virus avuti nei 14 giorni precedenti, rimanendo al proprio domicilio secondo le disposizioni dell’autorità sanitaria, di avvisare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro o il preposto dell’insorgere di qualsiasi sintomo influenzale, successivamente all’ingresso in azienda durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti e di adozione delle misure cautelative per accedere in azienda e, in particolare, durante il lavoro quali il mantenimento della distanza di sicurezza, il rispetto del divieto di assembramento, l’osservanza delle regole di igiene delle mani e l’utilizzo di adeguati Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).
Passando al Documento di valutazione dei rischi viene evidenziata la necessità di adottare una serie di azioni utili ad integrarlo in tema di prevenzione del rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia, possibilmente in una logica di tipo by design di coinvolgimento del MC sin dalle fasi di individuazione delle strategie prevenzionistiche aziendali anche in riferimento agli aspetti correlati ad eventuali fragilità e laddove ciò non fosse possibile, provvedendo a cura del datore di lavoro a fornirgli specifiche informazioni in merito alle azioni già previste al fine di agevolare, nello svolgimento delle attività di sorveglianza sanitaria, l’individuazione di eventuali prescrizioni/limitazioni per l’efficace formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica
Al riguardo viene rilevato come una modalità organizzativa che ha consentito di mantenere in attività numerosi lavoratori consentendo una efficace misura di contenimento del contagio senza significative ricadute su alcuni settori del sistema produttivo, sia stato il lavoro a distanza. Tale diversa modalità di erogazione della prestazione lavorativa tuttavia implica una collaborazione del MC col datore di lavoro per la corretta individuazione di strumenti e contenuti informativi/formativi per i lavoratori, anche nell’ottica di contribuire ad evitarne l’isolamento sociale oltre che di garantirne il benessere psico-fisico.
Per quanto attiene poi la sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.lgs. 81/08 e s.m.i. ed alle tipologie di visite mediche in essa ricomprese, la CM ribadisce come esse debbano essere garantite purché al MC sia consentito di operare nel rispetto delle misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della salute (http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioNormativaNuovoCoronavirus.jsp) e secondo quanto previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease 2019 (COVID-19) WHO 27 febbraio 2020) e richiamate all’art. 34 del Decreto legge 02 marzo 2020, n. 9.
In particolare, la CM prevede che le visite mediche di cui sopra si svolgano in una infermeria aziendale o in ambiente idoneo di congrua metratura, con adeguato ricambio d’aria, che consenta il rispetto dei limiti del distanziamento sociale e un’adeguata igiene delle mani, prevedendo altresì che in occasione delle visite mediche è opportuno che anche il lavoratore indossi idonee protezioni (mascherina). Inoltre, la programmazione delle visite mediche dovrà prevedere modalità organizzative in grado di da evitare l’aggregazione nell’attesa delle visite e fornendo adeguata informativa ai lavoratori affinché non si presentino a visita con febbre e/o sintomi respiratori seppur lievi. A proposito delle visite di cui all’art, 41 c. 2 ed i relativi giudizi relativi alla mansione specifica, ripresa la definizione della sorveglianza sanitaria quale “insieme di atti medici” implicanti un approccio clinico completo delle sue diverse fasi classiche (anamnesi, esame obiettivo, accertamenti strumentali e di laboratorio, monitoraggio biologico) finalizzato alla diagnosi ed alla conseguente formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica, si sottolinea che la sorveglianza sanitaria non può prescindere dal contatto diretto tra lavoratore e medico competente motivo per cui non può essere realizzata in forme “a distanza”. In fase emergenziale dovranno essere privilegiate le visite con carattere di urgenza e di indifferibilità quali: la visita medica preventiva, anche in fase pre-assuntiva; la visita medica su richiesta del lavoratore; la visita medica in occasione del cambio di mansione (valutando l’eventuale urgenza ed indifferibilità tenendo conto sia dello stato di salute del lavoratore all’epoca dell’ultima visita effettuata, che dell’entità e tipologia dei rischi presenti nella futura mansione sulla scorta del DVR); la visita medica precedente alla ripresa del lavoro dopo assenza per malattia superiore a 60 giorni continuativi. Viene chiarito che possono essere differibili, previa valutazione del medico competente, ad epoca successiva (31 luglio 2020): la visita medica periodica, (art. 41, c. lett. b); la visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro, nei casi previsti dalla normativa vigente (art. 41, c. 1 lett. e); che va sospesa l’esecuzione di esami strumentali che possano esporre a contagio da SARS-CoV-2, quali, ad esempio, le spirometrie; gli accertamenti ex art 41 comma 4, i controlli ex art 15 legge 125/2001, qualora non possano essere effettuati in idonei ambienti e con idonei dispositivi di protezione. Per il rientro al lavoro la CM evidenzia come sia essenziale richiamare la responsabilità personale di ogni lavoratore secondo quanto previsto dall’art. 20 c. 1 del D.lgs. 81/2008 e s.m.i. evidenziando altresì l’esigenza che, nel rispetto dell’autonomia organizzativa di ciascun datore di lavoro e della normativa in materia di tutela dei dati personali, nel massimo rispetto possibile delle vigenti norme sulla privacy, il lavoratore dia comunicazione al datore di lavoro, direttamente o indirettamente per il tramite del medico competente, della variazione del proprio stato di salute legato all’infezione da SARS-CoV 2 quale contatto con caso sospetto anche in merito a provvedimenti di quarantena o isolamento domiciliare fiduciario o di riscontro di positività al tampone. Viene richiamato il ruolo che il medico competente può svolgere per il tracciamento dei contatti ai fini della loro precoce identificazione in ambito lavorativo e del loro isolamento in un contesto di efficace rapporto di collaborazione del medico competente con i medici di medicina generale e con i Dipartimenti di prevenzione per la corretta gestione e presa in carico del lavoratore con sintomatologia sospetta per infezione da SARSCoV 2. In merito a quanto previsto dal Protocollo condiviso del 24 aprile 2020 che prevede che il medico competente, in base al suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglianza sanitaria, possa suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori, viene affrontato il tema dei test sierologici. Essi, secondo le indicazioni dell’OMS, non possono sostituire il test diagnostico molecolare su tampone, ma possono fornire unicamente dati epidemiologici riguardo la circolazione virale nella popolazione anche lavorativa. La CM ribadisce che quelli disponibili non sono caratterizzati da una sufficiente validità perché, nell’ambito della sorveglianza sanitaria possano essere utilizzati per l’espressione del giudizio di idoneità, dal momento che, in atto, non sussistono valide indicazioni circa un loro utilizzo per finalità sia diagnostiche che prognostiche nei contesti occupazionali, né per determinare l’idoneità lavorativa. Infine per i lavoratori fragili, secondo il Protocollo condiviso, è opportuno il coinvolgimento del MC nella identificazione dei lavoratori con particolari situazioni di fragilità risultando raccomandabile che la sorveglianza sanitaria tenga conto anche dell’età, atteso che i dati epidemiologici rilevano una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (>55 anni di età), come riportato nel Documento Tecnico citato in premessa, nonché in presenza di co-morbilità che possono caratterizzare una maggiore suscettibilità. Nelle more di una eventuale specifica previsione normativa, la CM indica che il medico competente, nella valutazione della differibilità delle visite mediche periodiche, tenga conto della maggiore fragilità legata all’età nonché di eventuali patologie del lavoratore di cui è già a conoscenza, suggerendo che i lavoratori, mediante adeguata informativa, vengano sensibilizzati a rappresentare al Medico competente l’eventuale sussistenza di patologie (quali a solo titolo esemplificativo, malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche), attraverso la richiesta di visita medica di cui all’art. 41 c. 1 lett. c. (c.d. visita a richiesta del lavoratore), corredata da documentazione medica relativa alla patologia diagnosticata, a supporto della valutazione del medico competente. Altro tema di rilevante interesse affrontato dalla CM è quello del reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID-19.Sulla base delle evidenze scientifiche che dimostrano come i malati di Covid-19 che hanno manifestato una polmonite o un’infezione respiratoria acuta grave, potrebbero presentare una ridotta capacità polmonare anche con necessità di sottoporsi a cicli di fisioterapia respiratoria, ovvero che i soggetti ricoverati in terapia intensiva possono continuare ad accusare disturbi rilevanti dovrà essere prestata la massima attenzione per il loro reinserimento lavorativo. E’ sulla base di questa logica che il medico competente, per i lavoratori affetti da COVID-19 per cui si è reso necessario un ricovero ospedaliero, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione secondo le modalità previste rilasciata dal Dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, deve effettuare la visita medica prevista dall’art.41, c. 2 lett. e-ter del D.lgs. 81/08 e s.m.i al fine di verificare l’idoneità alla mansione specifica, anche per valutare specifici profili di rischiosità in ambito lavorativo, indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia, evitando peraltro lo stigma e la discriminazione nei confronti dei lavoratori che hanno sofferto di COVID-19 e che rientrano nell’ambiente di lavoro. In conclusione, va rilevato che i contenuti della CM rappresentano indicazioni operative di base relative alle attività del Medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività, chiarendo una serie di aspetti tecnici introdotti dalla normativa emergenziale Covid-19, correlati alle problematiche interpretative. La SIML si impegna a fornire raccomandazioni operative che permettano ai medici del lavoro/MC di contestualizzare la cornice di riferimento riportata nella circolare ministeriale. Una FAD specifica in argomento verrà esitata a breve.
sicurez