di Andrea Farinazzo
Riguardo allo spinoso tema della valutazione dei rischi si indica che il nuovo coronavirus, “essendo un ‘nuovo’ virus che può comportare danni anche gravi alla salute dell’uomo, costituisce un agente biologico che, in quanto tale, deve essere classificato all’interno delle 4 classi di appartenenza di tutti gli agenti biologici potenzialmente rischiosi per l’uomo (art. 268 d.lgs. 81/08). L’obbligo per il Datore di lavoro di valutazione del rischio biologico ricorre qualora l’attività lavorativa comporti la possibile esposizione a un ‘agente biologico’, ossia qualsiasi microorganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni (v. artt. 266 e 267 D.Lgs. 81/2008)”. Sulla base della classe 2 individuata, come indicato a inizio articolo, dall’ICTV, è possibile analizzare come si deve comportare il Datore di Lavoro verso questo particolare agente biologico. Il primo caso riguarda gli ambienti di lavoro in cui l’esposizione al COVID-19 è specifica (ambito sanitario, pronto soccorso, reparti malattie infettive, addetti alla sicurezza aereoportuale, addetti delle forze dell’ordine in aree oggetto di focolai, addetti dei laboratori di analisi, …). In questi casi il datore di lavoro “ha già valutato il rischio biologico nel DVR e il nuovo Coronavirus non cambia la valutazione, le misure di prevenzione e protezione adottate per altri virus con le stesse modalità di esposizione dei lavoratori. È necessario gestire il rischio con una procedura specifica che, partendo dalla valutazione del Rischio come combinazione dell’Entità del pericolo dell’agente biologico combinato alla Probabilità di esposizione dei lavoratori (R = E x P), valuta come intervenire operativamente per ridurre al minimo tale rischio. Le azioni possibili dipenderanno dalla valutazione e, come per tutti gli altri agenti biologici, dovranno comprendere sicuramente anche la corretta informazione, la formazione dei lavoratori e la fornitura dei DPI secondo la specifica mansione e valutazione (si veda più in dettaglio oltre)”. Nei settori indicati “non si può eliminare il rischio biologico specifico, ma occorre valutarlo e ridurlo con varie azioni di contenimento, dalle barriere fisiche (D.P.I. ed altro) a quelle comportamentali (procedure, formazione e informazione, etc.…)”. Il vademecum, a cui rimandiamo per avere maggiori informazioni, riporta alcune misure precauzionali per tutelare la salute e sicurezza di tutti i lavoratori con riferimento anche alle misure urgenti da adottare in relazione alle varie normative sul tema (decreti-legge, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, …). Il secondo caso riguarda gli altri ambienti di lavoro, ambienti di lavoro “in cui l’esposizione all’agente biologico è di tipo generico, e pertanto non rientra nel rischio specifico” (ambienti industriali, civili, scuole, terziario, grande e piccola distribuzione, attività commerciali, della ristorazione, trasporti, etc…). In questi casi il Datore di Lavoro ai sensi del D.Lgs. 81/2008 “ha già valutato il rischio biologico e sicuramente avrà presente nel documento di valutazione una sezione per il cosiddetto “Rischio Biologico Generico”. Questa sezione si applica a tutti gli agenti biologici (non dipende dalla classe di appartenenza) a cui i lavoratori sono esposti sul posto di lavoro come nella loro normale vita privata”. Infatti il rischio biologico del COVID-19 “rientra in questa sezione”, in quanto “non è legato direttamente all’attività lavorativa e ai rischi della mansione (salvo i casi specifici indicati nel paragrafo precedente) pertanto il Datore di Lavoro non deve aggiornare il DVR”. Stante però la situazione di allarme sociale – continua il vademecum – “il Datore di Lavoro può considerare un’integrazione al DVR Biologico specificando il ‘nuovo’ agente biologico: il COVID-19 per questi ambiti lavorativi deve essere valutato come RISCHIO BIOLOGICO GENERICO. L’esposizione al COVID-19 dal punto di vista del meccanismo di possibile contaminazione e di valutazione del rischio è analogo ad esempio al rischio influenzale. Di conseguenza la valutazione del rischio per l’agente biologico CoVID-19 è genericamente connessa alla compresenza di esseri umani sul sito di lavoro”. Il Datore di Lavoro quindi dovrà verificare “che sia stata fatta corretta formazione e informazione ai propri dipendenti sulla Gestione del Rischio Biologico Generico. Le procedure che il Datore di Lavoro, mediante il Servizio di Prevenzione e Protezione, in collaborazione con il Medico Competente, il R.S.P.P., il R.L.S. e gli A.S.P.P., deve applicare sono, quindi, quelle di Prevenzione del Rischio Biologico Generico, adottando comportamenti basati su informazioni corrette”.
L’uso dei dispositivi di protezione individuale
Il vademecum si sofferma poi sul tema dei dispositivi di protezione individuale con riferimento particolare all’art. 74 e 77 del D.Lgs. 81/2008 e s.m.i.
Si segnala che i possibili DPI idonei a fronteggiare il Coronavirus sono relativi a:
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- Protezione delle vie respiratorie;
- Protezione degli occhi;
- Protezione delle mani;
- Protezione del corpo.
Riguardo alle protezioni delle vie respiratorie nel vademecum si parla dei facciali filtranti monouso “che proteggono da aerosol solidi e liquidi” e “sono classificati in tre categorie secondo la norma EN 149:2001 + A1:2009:
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- FFP1: protezione da aerosol solidi e liquidi senza tossicità specifica in concentrazioni fino a 4xTLV, APF=4;
- FFP2: protezione da aerosol solidi e liquidi senza tossicità specifica o a bassa tossicità in concentrazioni fino a 12xTLV, APF=10;
- FFP3: protezione da aerosol solidi o liquidi senza tossicità specifica a bassa tossicia e ad alta tossicità in concentrazioni fino a 50xTLV, APF=30”.
Ricordiamo che:
- TLV “è il Valore limite di esposizione professionale, cioè la concentrazione di una sostanza chimica alla quale si ritiene che la maggior parte dei lavoratori possa rimanere esposta senza effetti negativi sulla salute;
- APF è il fattore di protezione assegnato”.
In particolare sul facciale filtrante i codici riportati “hanno i seguenti significati:
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- NR: facciale filtrante monouso utilizzabile per un massimo di 8 ore;
- R: filtro riutilizzabile;
- D: protezioni respiratore che ha superato la prova opzionale di intasamento per una migliore respirazione”.
In alternativa – continua il vademecum – “è possibile utilizzare semi maschere facciali con filtri che proteggono a seconda del filtro utilizzato, da gas e/o aerosol. I filtri per la protezione da polveri, fumi e nebbie sono classificati in tre categorie secondo la norma EN 143:2001 + A1:2006: P1, P2 e P3”. Si segnala che il fattore di protezione assegnato APF e il TLV per le tre categorie “sono identici a quelli indicati precedentemente per i facciali filtranti monouso”. Il vademecum ricorda poi l’importanza della corretta procedura per utilizzare i DPI. Si riporta, infine, una immagine esplicativa del Ministero della Salute per favorire un utilizzo corretto delle protezioni delle vie respiratorie.
Cosa posso fare per proteggermi?
Mantieniti informato sulla diffusione dell’epidemia, disponibile sul sito dell’OMS e sul sito del ministero e adotta le seguenti misure di protezione personale:
lavarsi spesso le mani. Si raccomanda di mettere a disposizione in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani;
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- evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute;
- evitare abbracci e strette di mano;
- mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro;
igiene respiratoria (starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie);
- evitare l’uso promiscuo di bottiglie e bicchieri, in particolare durante l’attività sportiva;
- non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani;
- coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce;
- non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico;
- pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol;
- usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate.
Se presenti febbre, tosse o difficoltà respiratorie e sospetti di essere stato in stretto contatto con una persona affetta da malattia respiratoria Covid-19:
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- rimani in casa, non recarti al pronto soccorso o presso gli studi medici ma chiama al telefono il tuo medico di famiglia, il tuo pediatra o la guardia medica. Oppure chiama il numero verde regionale. Utilizza i numeri di emergenza 112/118 soltanto se strettamente necessario.
Devo indossare una mascherina per proteggermi?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di indossare una mascherina solo se sospetti di aver contratto il nuovo Coronavirus e presenti sintomi quali tosse o starnuti o se ti prendi cura di una persona con sospetta infezione da nuovo Coronavirus. L’uso della mascherina aiuta a limitare la diffusione del virus ma deve essere adottata in aggiunta ad altre misure di igiene respiratoria e delle mani. Infatti, è possibile che l’uso delle mascherine possa addirittura aumentare il rischio di infezione a causa di un falso senso di sicurezza e di un maggiore contatto tra mani, bocca e occhi. Non è utile indossare più mascherine sovrapposte. L’uso razionale delle mascherine è importante per evitare inutili sprechi di risorse preziose.
Come devo mettere e togliere la mascherina?
Ecco come fare:
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- prima di indossare la mascherina, lavati le mani con acqua e sapone o con una soluzione alcolica
- copri bocca e naso con la mascherina assicurandoti che sia integra e che aderisca bene al volto
- evita di toccare la mascherina mentre la indossi, se la tocchi, lavati le mani
- quando diventa umida, sostituiscila con una nuova e non riutilizzarla; in quanto maschere mono – uso
togli la mascherina prendendola dall’elastico e non toccare la parte anteriore della mascherina; gettala immediatamente in un sacchetto chiuso e lavati le mani.
Coronavirus, Garante privacy: niente fai-da-te sullo scanner termico ai dipendenti
Per rilevare la temperatura a dipendenti, fornitori e visitatori o avere notizie su spostamenti e contatti le imprese devono seguire procedure a tutela dei destinatari
Niente iniziative “fai da te” nella raccolta dei dati personali: come ribadito dal Garante Privacy nella
comunicazione pubblicata oggi 2 marzo sul proprio sito Internet, i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo “sistematico e generalizzato”, informazioni su eventuali sintomi influenzali dei propri dipendenti e dei suoi contatti personali extra lavorativi. La prevenzione della salute resta una prerogativa dei soggetti che svolgono istituzionalmente questo compito, unici organi deputati a verificare il rispetto delle regole di sanità pubblica. Questo intervento è una risposta concreta alla corsa, partita durante l’ultima settimana, da parte delle aziende a svolgere controlli sui possibili contagi da Covid-19 dei propri dipendenti, fornitori, clienti e in generale dei visitatori delle loro sedi. In alcuni casi, i controlli hanno portato alla richiesta di informazioni su tutti gli spostamenti e i contatti e alla rilevazione della temperatura corporea di chiunque visiti uffici o sedi dell’impresa. Sembra quasi che il management ritenga che l’attuale situazione di emergenza e i provvedimenti adottati dal Governo possano legittimare non solo le autorità pubbliche, ma qualsiasi privato a fare tutto il possibile per individuare i soggetti contagiati. Ma attenzione: come conferma la decisione del
Garante, non è così. E le aziende stesse – pur sottoposte a forti pressioni, come in questi giorni – devono tutelarsi per non compiere atti inutili e per non incorrere in sanzioni anche pesanti.
I limiti all’azione
I provvedimenti di emergenza adottati dal Governo per il coronavirus non legittimano i privati a svolgere controlli indiscriminati che potrebbero essere invasivi della privacy degli individui. L’interesse pubblico che viene invocato non basta, ma richiede una norma di legge che espressamente autorizzi la raccolta e il trattamento dei dati, norma che è improbabile (e forse non auspicabile) venga mai adottata anche al di fuori dell’attuale situazione. Il Regolamento privacy europeo (679/2016) ha introdotto sanzioni fino al 4% del fatturato aziendale mondiale o a 20 milioni di euro, a seconda di quale importo sia maggiore, per le violazioni del Gdpr. E non si deve
pensare che in casi di emergenza (come l’attuale) una sanzione del Garante sia improbabile mentre è più importante tutelare la salute dei dipendenti. Non c’è dubbio che la salute sia un interesse primario e che il Garante non si è ancora pronunciato, ma – una volta che la situazione si sarà normalizzata –, potrebbe svolgere ispezioni ed emettere sanzioni. Quindi bisogna evitare rischi inutili. Niente “caccia al malato” tramite controlli effettuati spesso da persone senza alcuna qualifica medica. E attenzione ai controlli svolti all’ingresso delle sedi in modo che qualsiasi visitatore ne possa venire a conoscenza e senza dare indicazioni su cosa avvenga delle informazioni raccolte. Si tratta di dati personali e la semplice rilevazione della temperatura è un trattamento di dati personali, anche se non vengono annotati. Sono attività che devono conformarsi alla normativa sul trattamento dei dati personali che in primis prevede il principio di minimizzazione: solo i dati strettamente necessari possono essere trattati.
Le comunicazioni non “invasive”
Ma che cosa può fare allora un’azienda? Potrebbe evitare la raccolta dati con una comunicazione ai dipendenti, clienti e fornitori e un cartello all’ingresso dello stabile che vieti l’accesso a chi è stato nelle zone a rischio, a contatto con persone a rischio o abbia sintomi influenzali, febbre o tosse. E vero però che gli intervistati potrebbero mentire alle domande, così come la temperatura rilevata da persone non qualificate potrebbe non essere affidabile. Si potrebbero allora posizionare termometri all’ingresso dello stabile per consentire a coloro che entrano di rilevare da soli e in una zona non visibile da terzi la propria temperatura, con l’indicazione che se eccede un certo limite non potranno accedere all’edificio. Se però il management delle imprese non si fida dell’autovalutazione degli individui, la normativa sul trattamento dei dati personali fornisce – in casi precisi e con limitazioni
- gli strumenti che legittimano i controlli. Prima di raccogliere qualsiasi informazione e di svolgere controlli sullo stato di salute, gli individui devono ricevere un’informativa privacy che contenga tutte
le informazioni richieste dal Regolamento privacy e che, quindi, illustri in dettaglio (tra l’altro) le modalità e finalità del trattamento, i tempi di conservazione dei dati e i soggetti a cui le informazioni saranno comunicate. Inoltre le persone devono fornire il loro consenso esplicito che dovrà specificatamente far riferimento alle finalità e modalità del trattamento che dovranno essere comunque conformi al principio di minimizzazione. Ma anche con il consenso non sarà possibile creare schedari che ricostruiscano gli spostamenti di dipendenti, fornitori e clienti e le variazioni della loro temperatura corporea. Il rispetto dei diritti sui dati personali – soprattutto dopo i chiarimenti del Garante – deve essere una priorità anche in questa situazione di emergenza.