La differenza di genere nella valutazione dei rischi

di Andrea Farinazzo

A partire dagli anni Settanta, la crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha evidenziato importanti differenze tra il lavoro maschile e quello femminile, anche a parità di mansione o settore. Queste differenze, insieme a problematiche prettamente socio-economiche, sono analizzate dalle principali istituzioni europee e mondiali che si occupano di disuguaglianze di genere.
L’Unione europea negli ultimi decenni ha promulgato disposizioni volte a favorire l’eguaglianza di genere nei settori riguardanti l’occupazione, ponendo particolare attenzione alle norme che regolano la sicurezza sui luoghi di lavoro. Le differenze tra uomo e donna non sono ancora totalmente riconosciute dalla normativa italiana. Basti pensare che l’adozione di un approccio neutrale rispetto al genere in materia di salute e sicurezza ha contribuito al mantenimento di lacune sul piano delle conoscenze e al perdurare di livelli di prevenzione meno efficaci, con le seguenti principali conseguenze: le differenze tra uomini e donne vengono perlopiù ignorate; una minore attenzione viene dedicata ai temi della ricerca che riguardano più da vicino le donne; il livello dei rischi a carico delle donne viene sottovalutato e si riduce la partecipazione delle donne ai processi decisionali legati alla salute e alla sicurezza sul lavoro; manca l’adozione di soluzioni preventive più idonee. Nella maggior parte dei casi in cui si è tenuto conto della problematica delle differenze tra uomini e donne, l’attenzione è stata focalizzata su queste ultime in quanto soggette a gravidanza, ma sono stati trascurati altri elementi di rischio a carico del sistema riproduttivo posti a monte della gravidanza (ad esempio i fattori mutageni).

VALUTAZIONE DEI RISCHI
Come si può sviluppare una valutazione dei rischi lavorativi che tenga conto anche di caratteristiche soggettive dei lavoratori come genere, età, provenienza? Ed è possibile, una volta rilevati rischi e nocività, organizzare il lavoro adattandolo alla persona?
Importante sarà migliorare l’attitudine occupazionale delle donne e degli uomini e la qualità della vita professionale, bisognerà fare progressi nel settore della parità tra i sessi in quanto le disparità, sia all’interno che all’esterno del mondo del lavoro, possono avere conseguenze sulla sicurezza e la salute delle donne.
Le differenze di genere nelle condizioni di lavoro hanno delle conseguenze per la salute rispetto al tipo di lavoro svolto da uomini o donne. Sarebbe utile migliorare la ricerca e il monitoraggio inserendo la dimensione del genere nella raccolta dei dati, tenendo conto delle ore effettive di lavoro (generalmente le donne lavorano meno ore degli uomini in ufficio, ma spesso il loro lavoro continua anche a casa) e basando la valutazione dell’esposizione in base al lavoro realmente svolto.

FATTORI DI RISCHIO
I metodi epidemiologici devono essere valutati per cercare eventuali discriminazioni di genere, le relazioni e le indagini nazionali sugli infortuni devono comprendere tutti i rischi professionali per le donne. I rischi legati al lavoro per la sicurezza e la salute delle donne sono stati sottovalutati e trascurati rispetto a quelli per gli uomini, sia nella ricerca che nella prevenzione; tutto questo deve essere affrontato nelle attività di ricerca, di sensibilizzazione e prevenzione.
Le direttive europee sulla salute e sicurezza non riguardano i lavoratori domestici (prevalentemente donne). Le donne che lavorano senza tutele spesso non sono considerate dalle leggi.
Di fondamentale importanza sarebbe la ricerca di un metodo che riuscisse a cogliere le differenze biologiche (sessuali) e socio-ambientali (di genere) nei diversi aspetti della valutazione.

RISCHI BIOLOGICI
Qui di seguito vengono riportati alcuni esempi di rischi determinati:

  • la superficie cutanea del corpo maschile è più estesa di quella del corpo femminile;
  • la statura è generalmente inferiore nelle donne;
  • il volume polmonare degli uomini è maggiore di quello delle donne;
  • esistono numerose differenze nell’assorbimento, metabolismo ed eliminazione degli agenti chimici;
  • diverso rapporto tra esposizione a rumore di bassa intensità e danni extra-uditivi localizzati a carico dell’apparato riproduttivo femminile;
  • la vulnerabilità verso i rischi cambia in modo significativo con l’età e in modo differente per i due sessi.

Da qui deriva che uomini e donne possono essere esposti a rischi diversi, possono rispondere in maniera diversa alla stessa esposizione al rischio, la diversità di ruoli sociali e di carichi conseguenti può avere, più o meno indirettamente, una influenza sulla esposizione a rischi lavorativi.
Partendo da questi presupposti, un approccio non neutrale ma attento alla soggettività con la partecipazione degli Rls, dei lavoratori e del medico competente permetterà dunque di far emergere e considerare percezioni, vissuti e segni di sofferenza rispetto alle diversità di sesso e di genere, spesso non ricostruibili in modo diverso.

DECRETO LEGISLATIVO
Con l’emanazione del D.Lgs. 81/08 si introduce una concezione nuova di salute e sicurezza sul lavoro, non più “neutra” ma in grado di considerare le “differenze di genere” in relazione alla valutazione del rischio e alla predisposizione delle misure di prevenzione. Nella norma viene sottolineato come la probabilità che si produca un’alterazione dello stato di salute non dipende solamente dalla natura e dall’entità dell’esposizione ma anche dalle condizioni di reattività degli esposti. Vengono così individuate delle categorie di lavoratori che potrebbero essere maggiormente suscettibili ai rischi lavorativi in base ad alcuni fattori quali l’età, il sesso, l’origine etnica, la posizione contrattuale e le disabilità. Inoltre il D.Lgs. 81/08 prende in considerazione gli aspetti organizzativi associati allo svolgimento dell’attività lavorativa, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato.
A fronte di una legge che stabilisce la tutela della salute nei luoghi di lavoro orientata al genere, le indicazioni richiamate nel D.Lgs. 81 non sempre risultano di facile applicazione. La prima difficoltà è la mancanza di metodi standardizzati che tengano conto dell’approccio di genere per valutare il rischio occupazionale.
Altro aspetto organizzativo che dovrebbe essere considerato riguarda il lavoro domestico e di cura familiare, spesso sbilanciato tra il genere femminile e maschile creando, soprattutto per le donne, un doppio carico lavorativo che, in Italia, sopperisce all’assenza di un idoneo sistema di welfare. Quando le richieste lavorative eccedono le capacità individuali di risoluzione, lo squilibrio avvertito dal lavoratore/lavoratrice può generare il cosiddetto “stress lavoro correlato” che può indurre uno stato di malattia sia psichico che fisio-patologico. Tuttavia, la non specificità delle patologie stress-correlate rende ancora difficile stabilire un nesso casuale tra lo “stress” e lo stato di malattia.

MAMME LAVORATRICI
Nel nostro Paese le lavoratrici madri hanno ricevuto una tutela grazie alla Costituzione, la quale stabilisce che le donne che lavorano devono godere degli stessi diritti e devono percepire gli stessi stipendi dei lavoratori uomini. Questo principio trae origine dall’idea che le condizioni di lavoro alle quali è sottoposta una lavoratrice devono permetterle di svolgere il suo ruolo all’interno della famiglia e devono garantire alla donna incinta di ricevere un’adeguata protezione contro i rischi. Una innovazione è stata apportata dalla L. 53/2000 e dal Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e paternità (D. Lgs. 151/2001), i quali hanno allargato la tutela anche al padre lavoratore, concedendogli la possibilità di poter usufruire di un trattamento particolare dopo la nascita del figlio.
Nello specifico, il Testo Unico per la tutela della salute delle lavoratrici prevede che queste possano beneficiare di particolari misure di sicurezza per tutta la durata della gravidanza e per i sette mesi successivi al parto. Inoltre, questa legge sancisce l’obbligo del cosiddetto congedo per maternità (astensione obbligatoria), cioè l’impossibilità per il datore di lavoro di impiegare al lavoro le donne durante il periodo di tempo che intercorre tra i due mesi precedenti e i tre successivi al parto. Lo stesso vale per le madri che abbiano avuto in adozione o in affidamento un bambino con al massimo sei anni di età.
Se poi la gravidanza comporta un rischio per la madre o per il nascituro, o se presenta delle complicanze prima dei due mesi dalla data ipotetica del parto, il congedo può essere richiesto con ulteriore anticipo presentando apposita domanda alla Direzione Provinciale del Lavoro.
Sempre il Testo Unico stabilisce il divieto di far eseguire alle lavoratrici i lavori faticosi, di far trasportare e sollevare pesi e di svolgere lavori pericolosi e insalubri. Viene inoltre specificato che le donne in gravidanza non possono essere esposte a radiazioni ionizzanti o a qualsiasi altra radiazione che possa contaminare la madre e il nascituro.
Durante tutto il periodo della gestazione la lavoratrice che svolge lavori particolarmente rischiosi o faticosi deve essere destinata ad altri impieghi, ma se ciò non dovesse risultare possibile a causa della metodologia di lavoro dell’azienda, la lavoratrice può subire l’interdizione dal lavoro fino al compimento del settimo mese d’età del figlio. Le lavoratrici non possono nemmeno prestare lavoro notturno dal momento in cui dichiarano al datore di lavoro la propria gravidanza fino al raggiungimento dell’anno di vita del figlio. Infine, durante i mesi di gravidanza le lavoratrici gestanti hanno diritto a godere di permessi retribuiti per sostenere esami clinici e visite mediche, presentando successivamente al datore di lavoro i certificati medici che comprovano la data e l’orario dell’accertamento eseguito.

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