Il bonus malus mette a repentaglio l’industria dell’auto

di Gianluca Ficco

Gli incontri tenutisi nell’ultima settimana di novembre con Fiat Chrysler Automobiles, Cnh Industrial e Ferrari avevano dato un segnale positivo sia sui piani industriali sia sul negoziato contrattuale, tanto da far sperare nell’avvio di una nuova fase espansiva nel mondo ex Fiat. Ma l’ottimismo ha subito un’improvvisa gelata a causa dell’inaspettata approvazione alla Camera dei deputati di un emendamento al disegno di legge di bilancio 2019 che colpisce fortemente il mercato e l’industria italiana dell’auto. Secondo l’emendamento l’acquisto delle autovetture verrebbe pesantemente tassato già a partire dal primo gennaio 2019, con l’unica eccezione delle auto ibride ed elettriche, benché queste ultime costituiscano ancora una nicchia piuttosto cara e di produzione straniera. Si tratta di un provvedimento frettoloso e superficiale, forse animato da buone intenzioni ambientaliste, ma in pratica capace di colpire molto duramente la nostra industria, proprio mentre sta investendo per compiere il salto tecnologico verso l’elettrificazione, e quindi di mettere a rischio decine di migliaia di posti di lavoro nell’intera filiera produttiva.

GLI INCONTRI A TORINO
Facendo un passo indietro, il 27 novembre Fca, Cnh Industrial e Ferrari si sono dette disponibili a trattare per il rinnovo del Contratto collettivo specifico di Lavoro sulla base della piattaforma sindacale, da loro definita molto ambiziosa ma saggia e sfidante, pur avendo puntualizzato l’interesse aziendale a introdurre alcuni temi nel negoziato oggettivamente molto delicati, quali la conclusione della fase sperimentale di inquadramento dei nuovi assunti in Fca e il contenimento dei picchi di assenza per malattia. Appena due giorni dopo, in un incontro a Mirafiori a cui hanno partecipato l’AD Michael Manley e il responsabile europeo Pietro Gorlier, Fca ha annunciato 5 miliardi di euro di investimenti nel prossimo triennio nel nostro Paese e missioni produttive per tutti gli stabilimenti; nonostante un problema di tempi, piuttosto lunghi per le industrializzazioni tanto da poter oltrepassare in alcuni casi i limiti di scadenza degli ammortizzatori sociali, e nonostante la necessità di un aggiornamento sulla fabbrica di Pratola Serra, bisognosa di ulteriori assegnazioni per poter raggiungere la saturazione, il piano industriale ci è parso molto incoraggiante, tanto più che appena il giorno prima un competitor come GM aveva dichiarato quindicimila esuberi; abbiamo avuto modo di accogliere con soddisfazione anche il programma di elettrificazione nel piano di Fca della intera gamma di autovetture. Infine il 30 novembre Cnh Industrial ha annunciato a propria volta un piano per il prossimo triennio di quasi 2 miliardi di dollari di investimenti in Italia: pur con una situazione estremamente diversificata fra i vari settori di business e con alcuni stabilimenti gravati da problemi particolari, come quello di Bolzano messo a repentaglio dal mancato sblocco di importanti commesse pubbliche, è chiaro comunque che anche in questo caso è emersa la volontà di mantenere e in molti casi rafforzare la presenza del Gruppo nel nostro Paese.

LA DOCCIA FREDDA
Anche per questo l’iniziativa della maggioranza di Governo è stata una doccia fredda. Già la normativa europea impone una marcia a tappe forzate verso la elettrificazione, probabilmente una marcia tanto rapida da sfavorire l’industria europea in favore di quella asiatica e da generare un futuro gravissimo problema occupazionale; un’accelerazione solitaria dell’Italia è da scongiurare per tre ordini di motivi: per evitare di colpire i consumatori medi che non possono sborsare le migliaia di euro di sovrapprezzo attualmente richieste per prodotti ibridi o elettrici che oggi sono ancora solo di nicchia, sovrapprezzo si badi non coperto nemmeno dagli incentivi; evitare di deprimere il mercato dell’auto in un momento in cui anche l’infrastruttura è inadeguata; infine evitare di penalizzare l’intera filiera dell’industria dell’auto italiana proprio mentre sta investendo per agganciare il salto tecnologico.

LA MARCIA INDIETRO
In verità le ultime dichiarazioni da parte di esponenti di governo di primo piano fanno sperare in un ripensamento interno alla maggioranza e forse anche nella possibilità di un confronto effettivo sul tema con le parti sociali e imprenditoriali, ma è chiaro che, qualora ciò non dovesse accadere e il Senato dovesse confermare la nuova normativa, sarebbe un duro colpo per quel rilancio industriale e delle relazioni sindacali che stiamo faticosamente cercando di perseguire nel mondo ex Fiat. Soprattutto sarebbe l’ennesima misura economicamente regressiva che, in nome di principi forse in astratto anche condivisibili, in concreto penalizzerebbe l’Italia e avvantaggerebbe la concorrenza straniera. Spesso noi chiediamo ai governi di confrontarsi col sindacato prima di varare misure che impattano sul mondo del lavoro: questa vicenda è l’ennesima conferma che tale confronto è non solo utile per tenere nella debita considerazione gli interessi di chi lavora, ma talvolta addirittura indispensabile se si vuole evitare di produrre effetti paradossali, diametralmente opposti rispetto ai fini che in astratto si dichiara di voler perseguire.

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