Marchionne. Lo straniero

“Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere”. E ancora: “Il vero valore di un leader non si misura da quello che ha ottenuto durante la carriera ma da quello che ha dato. Non si misura dai risulti che raggiunge, ma da ciò che è in grado di lasciare dopo di sé”.
Queste frasi compaiono nel libro di Paolo Bricco “Marchionne. Lo straniero”, presentato il 13 novembre a Reggio Emilia presso l’auditorium Credem su iniziativa di Unindustria. Ne hanno discusso, alla presenza dell’autore, Fabio Storchi, presidente Unindustria Reggio Emilia, Rocco Palombella, Segretario generale Uilm e Gianni Rinaldini, ex Segretario generale Fiom.

Paolo Bricco e Rocco Palombella

IL MANAGER CHE SALVÒ FIAT
Il volume, edito da Rizzoli, è ricco di documenti e testimonianze e racconta la storia umana e professionale di Sergio Marchionne, il manager che alla morte di Gianni e Umberto Agnelli ha preso in mano la Fiat e ne ha evitato il fallimento, conducendola all’acquisto e alla riorganizzazione di un gigante decaduto come Chrysler e dando vita così al gruppo Fca. Presidente e amministratore delegato di Ferrari, nel 2011 il Time l’aveva inserito tra le cento persone più influenti del mondo.

NON E’ UN INSTANT-BOOK
Il pamphlet di Bricco non è un improvvisato instant-book dell’ultima ora (come si potrebbe immaginare data l’uscita in concomitanza con la morte di Sergio), ma è in realtà il frutto di un meticoloso lavoro di documentazione, di ricerca e di intelligente interpretazione dell’opera di Marchionne. “Straniero” non per le sue origini, ma perché era un manager rivoluzionario, con una sensibilità umana che andava al di là dell’inevitabile determinazione con cui voleva a tutti i costi raggiungere la salvezza e il rilancio dell’azienda per la quale era capace di lavorare senza sosta 20 ore su 24. Un protagonista dell’impresa italiana che ha cambiato il volto del mercato dell’auto, ma che è stato anche al centro di scontri accesi col sindacato.

LO STILE DI SCRITTURA
“Il libro parla di Marchionne, ma anche di Fiat e quindi dell’Italia, di Chrysler e del Nord America. Un pezzo di storia narrato con grande capacità di scrittura e con numerosi dati che da oggi sono un patrimonio per i lettori”, ha sottolineato Palombella nel corso del dibattito in cui ciascuno dei presenti ha potuto dire la sua proprio sulle impressioni avute nel leggere il volume.  “Ho apprezzato molto la narrazione – ha continuato – lo stile di Paolo prende per mano il lettore e lo conduce esattamente nei luoghi e nel momento descritto. Mi sono sentito a Torino come a Detroit, profondamente immerso e catturato dalla storia di un uomo che ho avuto la fortuna di conoscere”.

LO STRANIERO
Scomparso nel luglio del 2018 a 66 anni, Marchionne era uomo schivo e riservato sulla sua vita privata, celebri i suoi maglioni diventati quasi un vezzo o le fotografie in cui compare senza denti, quasi a voler dire “Lavoro così tanto che non posso permettermi un dentista!”. Sergio era figlio di un carabiniere abruzzese emigrato in Canada, si era laureto prima in filosofia poi in giurisprudenza. Un leader carismatico e determinato, una figura controversa capace di dividere e creare al contempo profonda ammirazione. Amava dire “chi comanda è solo”.
Il 24 gennaio 2003 scompare Gianni Agnelli e finisce un’epoca. La Fiat sarebbe stata destinata al fallimento dopo avere perso circa 7,7 miliardi nel solo triennio 2002-2004. Quando Marchionne arriva poco dopo a Torino nessuno lo conosce veramente bene. Un alieno nel piccolo mondo antico sabaudo. La fusione di Fiat in Chrysler sarà il grande capolavoro della sua vita. In nove anni annuncia otto piani strategici, compreso Fabbrica Italia con 20 miliardi di investimenti (che però non andrà in porto). Lo Straniero non subisce l’influenza dell’immagine ieratica e cosmopolita dell’Avvocato, ha uno stile diretto e antiretorico, all’inizio bada a controllare i costi, a restituire decoro alle fabbriche, si occupa di controllo e di finanza: “Non gli interessa nulla della componente monarchico-burocratica-fordista della vecchia Fiat”. Ha uno stile da “poliziotto buono”. Non ha remore ad azzerare l’eredità di Gianni Agnelli, a cominciare dall’azzeramento di giacca e cravatta (che indosserà invece il 1° giugno 2018 al Balocco e che per molti, come ricorda Bricco, diventa un segno premonitore).

L’OPERAZIONE CHRYSLER
La Fiat, grazie a Marchionne, riesce a restare a galla in un connubio con Detroit, simbolo dell’industria di massa e del fordismo. La famiglia Agnelli incassa i dividendi e il prestigio del nuovo status industriale globale del gruppo. Nasce la Fca “globale” del presidente John Elkann.
Negli Usa la recessione del 2008 ha posto fine al sogno del capitalismo liberista. Bricco racconta la violenta deindustrializzazione di Detroit, le case abbandonate, le fabbriche dismesse dove si coltivano i fagiolini. In questo scenario l’operazione Fiat-Chrysler avviene con la benedizione di Obama che intuisce il genio del top manager in maglione nero: “Non è soltanto una operazione industriale e di finanza di impresa. Ma ha anche una componente politica e culturale rilevante. Nel 2010 Fiat fatturava 35,9 miliardi, tre anni dopo ne fattura 86,6 con tutti gli indicatori di redditività che tornano a brillare”. Marchionne riesce nell’operazione rilancio condivisa da Obama puntando su un marchio simbolo come la Jeep. Il Marchionne pensiero è descritto in un discorso agli analisti a New York: “Confessioni di un drogato di capitale”. L’uomo del maglione nero ha detto addio all’Italia del Novecento.

IL RICORDO DI PALOMBELLA
“Proprio nel 2010, appena divenuto Segretario generale, sono stato catapultato nella vertenza Fiat”, ha detto Palombella. “L’Italia consumava circa 400mila autovetture, a fronte di 1 milione e mezzo degli anni precedenti, non c’è alcun dubbio sul fatto che fosse una fabbrica fallita”. “Ci venne presentato un piano – ha continuato – in cui ci si chiedeva di sacrificare lo stabilimento di Termini Imerese, è vero, ma che avrebbe salvato tutti gli altri, a partire da Pomigliano”.
Palombella ricorda come proprio la vertenza di Pomigliano divenne il simbolo dello scontro con i sindacati: “Paradossalmente Marchionne non ci chiedeva di tagliare il costo del lavoro, ma ci chiedeva di far rispettare gli accordi, che a noi sembrava una cosa normale. Eppure lo stabilimento di Pomigliano era una fabbrica senza regole, senza modelli, allo sbando. Se ci andate oggi trovate una fabbrica ‘golden’, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Eppure sono gli stessi lavoratori, quelli che prima producevano automobili senza mercato”.
Palombella ha poi ricordato come Marchionne incarnava la Fiat, dava tutto sé stesso per ottenere dei risultati. Al lato dell’uomo burbero, che fumava una sigaretta dopo l’altra, che viaggiava senza sosta, c’era anche il lato di uomo umano e attento alle esigenze dei lavoratori. “Marchionne non ha solo salvato la Fiat, ha costruito un nuovo sistema di relazioni industriali in questo Paese. Forse in Italia abbiamo bisogno di eventi ‘traumatici’ per cambiare”, ha concluso.

IL FUTURO SENZA SERGIO

La discussione si è conclusa inevitabilmente rivolgendo lo sguardo al futuro. Il dopo-Marchionne è già cominciato con la vendita di Magneti Marelli, il gioiello dei fari e della componentistica. E se Storchi si è detto ottimista, Bricco ha ricordato come questa non fosse affatto l’idea di Marchionne. D’altro canto però stiamo vivendo un momento di confusione istituzionale e di scontro con i mercati che al momento lascia aperte molte incognite. 

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