Doveva essere un decreto urgente quello per la ricostruzione di Ponte Morandi a Genova, ma a 14 giorni da varo del Consiglio dei ministri è ancora fermo negli uffici del ministero dell’Economia. Fincantieri è stata tirata in ballo varie volte, come avevamo anticipato nello scorso numero di Fabbrica società e un articolo apparso di recente sul Sole24ore ha rivelato la mancanza da parte del Gruppo dei “requisiti di qualificazione OG3” da parte del Gruppo, necessari per la ricostruzione del ponte.
LA PRUDENZA E’ D’OBBLIGO
Fincantieri resta comunque interessata alla ricostruzione del ponte e per sopperire alla mancanza di tali requisiti starebbe pensando a una eventuale associazione temporanea, o consorzio, con una grande impresa di costruzione con tutte le carte in regola.
Il colosso mondiale della cantieristica navale resta quindi disponibile a collaborare, come ha detto più volte il suo Ad, Giuseppe Bono, ma la prudenza è d’obbligo, poiché ancora non è chiaro se il commissario potrà decidere per l’affidamento diretto a una cordata di imprese a sua discrezione o se dovrà invitare cinque diversi gruppi, come richiesto da norme europee.
“Se il Gruppo prenderà parte al progetto di ricostruzione del ponte di Genova, sarà coinvolto solo nella fornitura dell’infrastruttura in acciaio e nel project management”, hanno spiegato i vertici di Fincantieri nel roadshow dei giorni scorsi a Parigi e Lussemburgo.
COSTI
Il ponte può costare 200 o anche 400 milioni di euro. Numeri non indifferenti ai fini della manovra economica appena approvata e che ha messo d’accordo Lega e Movimento 5 Stelle sullo sforamento del deficit del 2,4%.
AUTOSTRADE
In attesa che tutto si sblocchi, sono state durissime le conclusioni del rapporto della Commissione ispettiva del Ministero delle Infrastrutture sul crollo: “Non è mai stata fatta un’analisi di sicurezza e una valutazione sismica del viadotto […] non è nel progetto (del rinforzo strutturale del ponte, ndr) di Autostrade, e avrebbe dovuto esserci”. E ancora: “Pur in presenza di un accentuato degrado del viadotto e in particolare delle parti orizzontali […] Aspi non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, all’immediato ripristino”.
Il 98% dei costi per interventi strutturali – si legge nel documento – è stato sostenuto prima del 1999 (anno della privatizzazione di Autostrade), dopo il 1999 è stato speso solo il 2%. I numeri degli investimenti parlano chiaro: dal 1982 al 1999, l’esborso medio annuo è stato di 1,3 milioni di euro; dal 1999 all’agosto del 2018, di 23 mila euro.
Il Ministero delle Infrastrutture, di cui fanno parte nove degli indagati per il crollo del Ponte Morandi, afferma che Autostrade avrebbe minimizzato e celato elementi indispensabili per la comprensione dello stato di usura del viadotto.