La vertenza ex Ilva-Acciaierie d’Italia per Fim-Cisl, Fiom-Cgil e UILM-Uilm resta una delle vertenze di cui si attende da troppi anni una soluzione definitiva per un vero rilancio di un asset strategico per il nostro Paese.
Siamo ancora una volta a sollecitare una risposta dal Governo in questa direzione evidenziando la drammaticità sociale ed industriale che potrebbe, in mancanza di un intervento immediato, precipitare irrimediabilmente in una crisi irreversibile.
Denunciamo per l’ennesima volta lo stato dell’arte del più grande gruppo siderurgico italiano:
Il piano industriale posto alla base dell’accordo sottoscritto in sede ministero ex Sviluppo Economico il 6 settembre 2018 non è stato formalmente modificato ma nei fatti mai applicato, a partire dalla ripartenza di AFO5, fondamentale per il rilancio di Taranto e necessario per l’alimentazione di coils per tutti gli altri stabilimenti del gruppo.
Il potenziale livello produttivo di sei milioni di tonnellate annui non è stato mai raggiunto e per l’anno in corso forse si raggiungeranno, ancora una volta, poco più di tre milioni di tonnellate di acciaio.
Dal 2018, anno in cui è stato preso in carico da ArcelorMittal l’ex gruppo Ilva, non sono stati effettuati gli investimenti necessari a garantire la buona tenuta produttiva degli impianti ma principalmente le condizioni di sicurezza degli stessi; gli interventi effettuati sugli altoforni sono stati quelli necessari per mantenerli in marcia minima; gli impianti di finitura e tutta la filiera a valle come i anche i tubifici sono stati fermati. Complessivamente, gli stabilimenti hanno registrato un peggioramento delle condizioni impiantistiche e dello stato degli ambienti di lavoro. Sono recentissimi gli ennesimi gravissimi incidenti registrati sia nello stabilimento di Novi Ligure con la caduta dalla pinza di una gru di un coil, di diverse tonnellate, che solo per fortuna non ha coinvolto nessun lavoratore che nello stabilimento di Taranto dove ha preso fuoco un autobus per il trasporto del personale. Questi sono solo gli ennesimi episodi sulla mancanza di manutenzione degli impianti.
Non sono mai state rese note le modalità di utilizzo e la destinazione dei 680 milioni di euro di fondi pubblici nonostante gli impegni dichiarati e non realizzati dall’azienda.
Peraltro la recente “piccola” ripresa produttiva dovuta alla ripartenza di Afo2 è servita ad Acciaierie d’Italia soltanto per vendere i semilavorati anziché, come sarebbe stato più logico, a farli trasformare negli altri stabilimenti del gruppo, nei quali invece è aumentato paradossalmente il ricorso alla cassa integrazione.
Dal 2019 si è fatto ricorso ininterrottamente alla cassa integrazione prima ordinaria, successivamente Covid e poi straordinaria con causale “riorganizzazione”, autorizzata dal Ministero del Lavoro senza una valida giustificazione e senza alcun controllo sul rispetto di applicazione della normativa vigente. In questi anni, anche nelle fasi di massima richiesta di acciaio da parte del mercato è stata utilizzata la CIG. A tutt’oggi sono a carico delle casse statali 3000 lavoratori Acciaierie d’Italia, 1600 in Ilva A.S. ed altrettanti delle ditte di subappalto.
Il subappalto, con attività prima esternalizzate, poi successivamente internalizzate e poi nuovamente parzialmente esternalizzate, al pari della CIG, ha seguito logiche esclusivamente finalizzate al massimo “risparmio”.
La gestione economica e finanziaria è stata sempre poco trasparente certificata lo scorso 3 maggio giorno in cui si è tenuta l’assemblea della holding che controlla Acciaierie d’Italia e che ha prodotto un documento in cui è stata registrata la denuncia di Invitalia in merito alla mancanza di informazioni e aggiornamenti fondamentali al socio pubblico, in particolare, il mancato rispetto degli accordi da parte di ArcelorMittal. Invitalia, infatti, ha fatto presente che vi sono proiezioni finanziarie mai condivise coi soci e che “incidono di fatto sul piano industriale allegato all’accordo d’investimento”. Anche per valutare le “potenzialità e capacità della società di raggiungere i convenuti livelli di produzione e di generare sufficienti risorse finanziarie per rendere possibile la prosecuzione delle attività”.
Nonostante le dichiarazioni aziendali sul raggiungimento di oltre il 90% delle prescrizioni previste dall’AIA, ad oggi manca il pieno completamento degli adempimenti previsti.
Infine, con il ritardo del pagamento dei flexible benefit previsti dal CCNL metalmeccanico e la retribuzione del mese di giugno pagata con i valori previsti dalla cassa integrazione pur in assenza dell’autorizzazione del decreto ministeriale, Acciaierie d’Italia ha violato contratto nazionale e normative di legge.
Nei prossimi giorni si terranno i consigli di fabbrica in tutti i siti ex Ilva per discutere delle future iniziative a livello territoriale e, successivamente, assumere le decisioni su iniziative a livello nazionale a sostegno della vertenza.
Chiediamo al Governo che si assuma la responsabilità di decidere sul destino di oltre 20.000 lavoratori dell’ex Ilva e del suo indotto, dell’economia e dell’ambiente di interi territori da cui dipende e non lasciarlo nelle mani di una multinazionale che, per le suddette questioni, ha mostrato il disinteresse nel rilancio di Acciaierie d’Italia.
Prima che sia troppo tardi, il Governo assuma la maggioranza nella gestione del gruppo ex Ilva per preservarne il valore nell’interesse strategico nazionale, fermando una volta per tutte la spirale in cui l’attuale governance consente al socio privato di continuare a guadagnare, scaricando le perdite su Acciaierie d’Italia, e perseverando nel fare utili a scapito degli investimenti, della sicurezza degli impianti e dell’ambiente.
Fim, Fiom, Uilm Nazionali