La rapida contrazione delle quote del diesel mette oggettivamente a repentaglio lo stabilimento Bosch di Bari, che dà lavoro a circa duemila lavoratori e rappresenta quindi la seconda più grande azienda pugliese. Per riconvertirlo, nonostante la disponibilità della direzione aziendale ad allocarvi nuove produzioni, occorrono quanto meno molti anni, nonché ingenti investimenti, ma, a causa della diminuzione dei volumi, gli ammortizzatori sociali corrono il rischio di esaurirsi prima del previsto e la competitività del sito cala rapidamente.
Come sindacato abbiamo fatto accordi difficili, per abbassare il più possibile l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, mentre la direzione aziendale ha già portato alcuni prodotti nuovi non legati al diesel, come la e-bike, e altri ancora ha intenzione di portarne, inserendo Bari in una rete di solidarietà di Gruppo. Da soli però non ce la possiamo fare, anche perché lottiamo contro il tempo. Basti pensare che fino a ottobre 2020 abbiamo a disposizione solo 60 giornate di cassa integrazione.
Al governo e alla Regione Puglia, ciascuno per la parte di propria competenza, chiediamo tre cose: innanzitutto di rallentare anche la crociata contro il diesel che ne sta accelerando il crollo ben oltre il dovuto; inoltre di sostenere gli investimenti indispensabili alla riconversione industriale, magari con un contratto di sviluppo e con un accordo di programma; infine di assicurare gli ammortizzatori sociali per il tempo necessario al pieno riavvio della produzione. La risposta delle Istituzioni è stata in linea di principio positiva e già nei prossimi giorni inizieranno una serie di verifiche sui vari aspetti trattati durante la riunione; occorre però fare presto, per evitare il rischio che ancora una volta il sostegno pubblico arrivi a disastro avvenuto.
Il caso della Bosch di Bari è emblematico, poiché costringe l’Italia a una scelta: abbandonare l’industria al suo destino, per poi piangere dinanzi alle chiusure e alla recessione, oppure fare una politica industriale simile a quella che fanno le altre nazioni, per favorire la riconversione verso le nuove tecnologie. Spesso si parla di sviluppo sostenibile o di legittima difesa degli interessi nazionali: una politica industriale efficace è il presupposto per entrambe queste politiche.
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