Domani si riunirà l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia e, anche questa volta, non si conoscono le decisioni che assumerà Invitalia, a nome del Governo. Conosciamo, invece, quelle del socio privato. Il destino della siderurgia italiana e di 20 mila lavoratori è nelle mani di ArcelorMittal che, per la terza volta consecutiva, ribadirà di non voler mettere le risorse necessarie per continuare a mantenere in vita l’ex Ilva. Il Governo non può essere ostaggio di ArcelorMittal e deve prendere atto che questa decisione è stata già presa dalla multinazionale nel 2020, quando fu deciso di realizzare un patto parasociale, ancora secretato, con un primo finanziamento pubblico di 400 milioni. A fronte di una persistente situazione fallimentare, a inizio 2023 lo Stato ha versato ulteriori 680 milioni e il socio di maggioranza (ArcelorMittal) zero. Adesso la situazione è analoga: per poter continuare a far vivere l’ex Ilva occorrono almeno 320 milioni ma, ancora una volta, il socio privato non è disponibile a mettere la sua quota. L’obiettivo di ArcelorMittal è stato chiaro fin dall’inizio: lo Stato deve mettere i soldi e loro li gestiscono. Lo Stato deve pagare le bollette, la cassa integrazione per migliaia di lavoratori, farsi carico dei lavoratori in AS e negli appalti, del rifacimento degli impianti, a partire dall’Afo 5, dei rischi della salute e sicurezza dei lavoratori, del risanamento ambientale e di eventuali problemi di mercato. Mentre il socio privato, a fronte di nessun impegno, vuole mettere le mani sui 5 miliardi previsti per la decarbonizzazione. La situazione è diventata insostenibile in tutti gli stabilimenti: assenza di relazioni sindacali, industriali, mancanza di intervento alle richieste di normale attività manutentiva e di funzionamento fino alle provocazioni. A gennaio scorso il ricatto dei 2.500 lavoratori degli appalti, a luglio a Taranto la fermata dell’altoforno 1 e ora quella dell’altoforno 2, l’inattività aziendale dinnanzi allo stop del principale carroponte di Genova, un disastro alla vigilia dell’assemblea dei soci usato per condizionare il Governo a mettere ulteriori risorse.
L’ Amministratore delegato ha dichiarato che l’ex Ilva, grazie alla sua gestione, è molto più bella, forte e potente di prima, e che è lo Stato che deve farsi carico dei costi della decarbonizzazione. Come se non bastasse, a fronte delle nostre denunce sui rischi sulla salute e sicurezza e di una specifica prescrizione del Ministero del Lavoro, l’azienda ha deciso di ignorarle. Queste sono solo alcune azioni degli ultimi mesi, che denotano la spregiudicatezza di questo Amministratore delegato nei confronti del Governo, delle istituzioni, dei lavoratori, del sindacato e di intere comunità. L’ultimo atto, aspettiamocelo, sarà la fermata dell’unico altoforno rimasto in marcia: il numero 4, già in condizioni precarie. A quel punto saremo all’eutanasia dell’ex Ilva. Come organizzazioni sindacali lanciamo oggi un forte appello al Governo e a tutte le istituzioni affinché si scongiuri la chiusura dell’ex Ilva e si garantisca la continuità produttiva. Fermiamoli finché siamo in tempo, mancano poche ore. Il Governo non ha altra scelta: deve estromettere questo Gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda. Il Governo, con un provvedimento d’urgenza, deve acquisire la maggioranza e quindi individuare soluzioni industriali, precettando produttori nazionali, affidandogli, transitoriamente, la gestione di Acciaierie d’Italia e il salvataggio dei 20 mila lavoratori di tutti gli stabilimenti. In base alle conclusioni dell’assemblea dei soci di domani, siamo pronti a realizzare un presidio permanente al fine di essere ricevuti a Palazzo Chigi, a partire dal prossimo 11 dicembre.
Roma, 5 dicembre 2023 |
FIM |
FIOM |
UILM |
Roberto Benaglia | Michele De Palma | Rocco Palombella |