Intervista di Estense.com al segretario nazionale della Uilm Rocco Palombella
Rocco Palombella ha il viso scavato come spesso capita a chi è stato in fabbrica per lungo tempo, e un profilo che ricorda un antico busto romano. La leva militare l’ha fatta Pisa, con i parà della Folgore, ma ha costruito la sua carriera da operaio e da sindacalista lavorando per trent’anni all’Ilva di Taranto, terre dalle quali proviene anche per origine anagrafiche (viene da Faggiano, nella provincia, dove è nato nel 1955). Dal 2003 al 2009 è stato segretario provinciale della Uilm, il sindacato dei metalmeccanici Uil, e poi ha fatto il grande passo verso Roma, per prendere la carica di segretario nazionale.
Martedì 18 gennaio è a Ferrara per il passaggio di consegne tra Riccardo Gallottini e Paolo Da Lan alla guida della Uilm estense. Lo abbiamo incontrato per parlare del rapporto tra ambiente e lavoro, rinnovo del contratto di categoria, dei rapporti con la Fiom di Landini, della crisi Berco e del caso Fiorini.
Partiamo dall’Ilva, che lei conosce bene. È stato il caso paradigmatico sul conflitto tra tutela dell’ambiente e della salute e tutela del lavoro. A Ferrara, con il petrolchimico, sembra esserci, almeno in parte, la stessa sfida da affrontare.
Quando si arriva a mettere in antitesi il lavoro con l’ambiente significa che la società ha fallito. È la condizione peggiore per arrivare a una soluzione. È possibile conciliare la tutela dell’ambiente e quella del lavoro ma spesso questa discussione è stata alimentata da chi non aveva cura né di preservare la salute, né di preservare il lavoro.
Ma come si può uscire dal conflitto tra esigenze egualmente importanti da tutelare?
Per anni la ricerca, la conoscenza, non hanno evidenziato in modo così chiaro il pericolo delle fonti di inquinamento. Basti pensare a quanto accaduto nel caso Eternit. Bisogna allora intensificare la prevenzione, la ricerca e gli strumenti per dare la possibilità a sindacati, aziende e governi di capire quali siano le fonti inquinanti. Non sono uno di quelli che mette al primo posto il lavoro a discapito dell’ambiente perché possono coesistere e sono entrambi indispensabili. Un argomento collegato è quello degli infortuni: non ci può essere un tasso fisiologico come spesso ci dicono. Negli ultimi anni abbiamo riscontrato un aumento degli infortuni nonostante l’abbassamento delle ore lavorative, questo succede quando abbassiamo il livello di guardia e gli investimenti nella sicurezza.
I lavoratori e i sindacati che ruolo hanno in tutto questo? Possono fare qualcosa?
Più volte ci hanno detto di guardare ad altri modelli industriali, ma penso sia sufficiente dare seguito alle previsioni normative sulla partecipazione dei lavoratori nei processi decisionali.
Cambiamo argomento. I metalmeccanici attendono il rinnovo del contratto nazionale, la strada non sembra senza ostacoli.
La posta in gioco non è semplice ed è quella della distribuzione della ricchezza all’interno delle fabbriche per 1,6 milioni di lavoratori. Il vecchio contratto prevede che tutti possano beneficiare – ad esempio – di una parte di salario legata all’inflazione, ma oggi le aziende vogliono inserire elementi discriminatori.
I continui contrasti con la Fiom non rischiano di far diventare tutto più difficile?
La disgregazione precedente è stata attenuata dal fatto che, alla fine, i rinnovi sono stati realizzati. Oggi, pur partendo da piattaforme diverse, abbiamo l’obiettivo comune di realizzare un contratto insieme e credo possa essere la risposta migliore a quelli che puntano sul fatto che non saremo uniti neppure questa volta.
Cosa pensa di Landini e dell’accusa che molti gli muovono di fare più il politico che il sindacalista?
Non ho difficoltà a dire – e glie l’ho detto anche personalmente – che la sua notorietà è dettata dalle sue visioni politiche più che da quelle sindacali. Io ho la percezione che parli più da politico che da sindacalista: è diventato una persona nota per questo, pur non avendo rinnovato contratti, ma un sindacalista, secondo me, va giudicato da quanti contratti riesce a rinnovare non da altro.
Ritiene che il ruolo che assunto Landini pregiudichi quello del sindacato?
Penso che faccia male al sindacato che deve difendere la propria autonomia e rappresentare i propri interessi di categoria.
A Copparo la Berco ha chiesto la cassa integrazione anche se pare solo in via temporanea. C’entra la crisi del settore o ci sono motivi più profondi e specifici?
La cassa integrazione è una soluzione che non ci piace, ma penso che sia una situazione oggettiva. Credo ci sia una dose determinante di crisi in alcuni settori e prodotti che hanno a che fare con la Berco che ancora persiste. Le dinamiche dell’azienda non sono legate al mercato nazionale quanto a quelli, anche più complicati, internazionali.
Quindi si può essere ragionevolmente ottimisti?
Ci auguriamo che la cassa integrazione sia davvero limitata nel tempo, ma l’azienda si deve rilanciare con investimenti e ricerca, scommettendo sul territorio. Qualche anno fa abbiamo siglato un accordo che va rispettato, simile a quello che abbiamo fatto con la Thyssenkrupp a Terni, e lì adesso assumono persone mentre qui chiedono la cassa integrazione.
La Lyondell Basell a Ferrara ha licenziato un delegato sindacale, Luca Fiorini, dopo uno scontro nel tavolo di trattativa. È diventato un caso nazionale, ma secondo lei è un caso isolato o è il segnale sul difficile futuro dei rapporti tra aziende e organizzazioni sindacali?
C’è una linea di continuità tra le modifiche al sistema del lavoro – mi riferisco al Jobs Act – e l’atteggiamento delle aziende. Senza l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non ci saremmo neppure potuti rivolgere a un giudice per quel licenziamento. È una prova di forza dell’azienda dopo la mancata abolizione dell’articolo 18 per tutti.
Ufficio Stampa Uilm
Roma, 20 gennaio 2016